Per contribuire ai contenuti

Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

*************************

L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

**********************************

Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

Chi voglia pubblicare un contenuto (al di là dei semplici commenti ai "post", che possono essere lasciati cliccando su "commenti" ma solo da chi abbia un’identità Google), può inviarlo a Mario Ardigò all'indirizzo di posta elettronica marioardigo@acsanclemente.net all'interno di una e-mail o come allegato Word a una e-email.

I contenuti pubblicati su questo blog possono essere visualizzati senza restrizioni da utenti di tutto il mondo e possono essere elaborati da motori di ricerca; dato il tema del blog essi potrebbero anche rivelare un'appartenenza religiosa. Nel richiederne e autorizzarne la pubblicazione si rifletta bene se inserirvi dati che consentano un'identificazione personale o, comunque, dati di contatto, come indirizzo email o numeri telefonici.

Non è necessario, per leggere i contenuti pubblicati sul blog, iscriversi ai "lettori fissi".

L'elenco dei contenuti pubblicati si trova sulla destra dello schermo, nel settore archivio blog, in ordine cronologico. Per visualizzare un contenuto pubblicato basta cliccare sul titolo del contenuto. Per visualizzare i post archiviati nelle cartelle per mese o per anno, si deve cliccare prima sul triangolino a sinistra dell'indicazione del mese o dell'anno.

Dal gennaio del 2012, su questo blog sono stati pubblicati oltre 2000 interventi (post) su vari argomenti. Per ricercare quelli su un determinato tema, impostare su GOOGLE una ricerca inserendo "acvivearomavalli.blogspot.it" + una parola chiave che riguarda il tema di interesse (ad esempio "democrazia").

GOOGLE INSERISCE DEI COOKIE NEL CORSO DELLA VISUALIZZAZIONE DEL BLOG. SI TRATTA DI PROGRAMMI COMUNEMENTE UTILIZZATI PER MIGLIORARE E RENDERE PIU' VELOCE LA LETTURA. INTERAGENDO CON IL BLOG LI SI ACCETTA. I BROWSER DI NAVIGAZIONE SUL WEB POSSONO ESSERE IMPOSTATI PER NON AMMETTERLI: IN TAL CASO, PERO', POTREBBE ESSERE IMPOSSIBILE VISUALIZZARE I CONTENUTI DEL BLOG.

Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

ON THE WEBSITE www.bibbiaedu.it THE ITALIAN TRANSLATIONS OF THE BIBLE CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONAL IN CURRENT LANGUAGE AND THE BIBLICAL TEXTS IN ANCIENT GREEK AND ANCIENT JEWISH MAY BE CONSULTED. WITH A FUNCTIONALITY OF THE WEBSITE THE VARIOUS TEXTS MAY BE COMPARED.

Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

domenica 12 maggio 2024

Inaccettabile (in occasione della Festa della mamma)

 

Inaccettabile

(in occasione della Festa della mamma)

 

da “Il corpo della donna” di Daniela Hammaui, pubblicato su La Repubblica  dell’11 maggio 2024

  Tensioni, scontri con la polizia, diversi feriti, una ministra che non è riuscita a fare il suo intervento per le contestazioni: gli Stati Generali della Natalità verranno ricordati per questi episodi ma, come spesso succede, così si rischia di vedere il dito e dimenticare la luna.

[…]

  […] molte donne si erano illuse che l’autodeterminazione fosse diventata un diritto indiscutibile. Invece nulla è immutabile, tanto meno quando si tratta di diritti femminili. Il corpo delle donne che da secoli ha attratto il potere come una calamita, e che è stato usato e abusato, è tornato ad essere al centro della politica a diverse latitudini.

[…]  Risolvere la denatalità -è di questi giorni l’ultimo record negativo con solo 379 mila neonati nel 2023- diventa prioritario, come se anni di politiche sbagliate dovessero ancora una volta ricadere sulle donne  e sul loro proverbiale senso di abnegazione e di sacrificio, come se le loro decisioni dolorose e personali diventassero all’improvviso di pertinenza della politica.

 Che il corpo femminile sia da sempre una merce preziosa per chi gestisce il potere, è evidente. Che lo sia ancora nel terzo millennio, e persino in Paesi che dovrebbero essere la culla dei diritti civili, è preoccupante, Anche perché si porta dietro l’indifferenza che stiamo dimostrando verso i soprusi più atroci a cui sono sottoposte le donne nel mondo e che molti governi usano per sancire la loro autorità assoluta.

[…]

  La domanda che sorge spontanea è perché quest’accanimento? I motivi sono tanti ma se volessimo riassumerli in uno solo sarebbe questo: se una ragazza scopre che non può gestire autonomamente il proprio corpo, impara da subito che non potrà mai gestire la sua mente, se capisce che la sua vita appartiene a un uomo, allo Stato, prima che a sé stessa, non sarà mai in grado di sentirsi davvero libera e soprattutto di immaginare il suo futuro”.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

   All’ultima assemblea nazionale del MEIC – Movimento ecclesiale di impegno culturale, svoltasi il mese scorso, ci siamo detti e abbiamo anche scritto che l’umiliante condizione femminile nella nostra Chiesa, efferato culmine di quella che più in generale devono subire tutte le persone le quali vivono liberamente la nostra fede, è inaccettabile. Sembra che si possa aspirare al riconoscimento di una qualche santità di vita solo  rinunciando alla propria libertà ed è ancora questa idea che colpisce in particolare le donne, come anche i preti e le persone che si sono legate a un qualche ordine religioso, con la differenza che in questi ultimi casi questo asservimento è la condizione necessaria per poter esercitare l’autorità.

  E’ stata, così, organizzata una crudele teologia contro le donne che una generazione di valenti teologhe sta tentando di smontare culturalmente e di delegittimare ecclesialmente. Il modo in cui in genere nei nostri ambienti ecclesiali viene affrontata la questione della denatalità ne risente fortemente.

  A ciò che è inaccettabile si ha il dovere morale di resistere e di reagire. Il problema non è che ciò accada qua e là, ma che questo sia in genere una eccezione.

  E’ strano che si consideri così grave la questione della denatalità, che è molto evidente in Italia, come in gran parte dell’Europa occidentale, ma anche in altre aree del mondo comprese nell’idea di Occidente, quando nel mondo non c’è mai stata tanta gente: si stimano che vi vivano oltre otto miliardi di persone.

  Mi pare che da noi si affronti il problema secondo la stessa prospettiva del fascismo mussoliniano, vale a dire che ci debbano essere più italiani, intendendo che devono riprodursi di più le coppie che, al di là delle evidenti diverse discendenze antropologiche,  dal punto di vista dei costumi e di altri aspetti della cultura popolare espressa rientrano nell’idea di persona italiana, vale a dire parlano più o meno la lingua italiana, mangiano pastasciutta e fantasticano di un certo proprio personale legame con gli antichi romani ed “eroi,  santi,  poeti,  artisti,  navigatori,  colonizzatori,  trasmigratori” del passato (elenco tratto da un discorso di Mussolini nel 1935 per l’inizio della stragista guerra contro gli etiopi). Naturalmente, però, non può essere considerato di diritto divino,  nella  nostra fede, che continui ad esserci una popolazione italiana in quel senso. Dove sarebbe scritto?

  Dal punto di vista sentimentale, ci si può anche dolere che ci siano in futuro meno persone che ci assomigliano in quelle cose, ma perché, chiede Hammaui, per rimediarvi si dovrebbe ripristinare la schiavitù biologica delle donne? Quest’ultima, poi, è proprio una di quelle costumanze culturali purtroppo legate a una certa condizione di italianità  che dovrebbero essere superate. Perché? Perché fanno ingiustamente soffrire. Ingiustamente perché la sofferenza personale e collettiva che provocano è legata ad una condizione di prevaricazione sociale, fantasiosamente sacralizzata,  basata solo sulla violenza pubblica per replicarla di generazione in generazione, nel presupposto che sia una condizione naturale e, come tale, in qualche modo anche voluta dal Cielo, quindi insuperabile. Mentre paleoantropologia, antropologia, sociologia e storia dimostrano che nessun costume culturale è mai stato una condizione naturale  nei gruppi sociali umani, che tutto dipende dalle dinamiche di dominio in società,  e che dunque un diverso assetto sociale è sempre pensabile e attuabile, sempre che si riesca ad organizzare una forza sociale che lo sostenga. Purtroppo fino ad oggi nessun mutamente sociale, anche nelle cose religiose, si è mai realizzato senza che fosse necessario una qualche forma di lotta per vincere resistenze di chi beneficiava dell’assetto precedente. Nelle democrazie evolute si cerca di incanalare tutti i conflitti in forme non violente, stabilendo procedure per assecondare i mutamenti politici secondo l’evoluzione delle società di riferimento in modo non solo che i più prevalgano (e qualche volta si riesce anche a ottenerlo) ma anche che le maggioranze non umilino la dignità delle altre persone rimaste in minoranza. Certe volte sembra si ritenga che le procedure democratiche siano volte a proteggere le maggioranze, le quali in quanto tali non ne hanno bisogno, mentre in realtà sono organizzate per proteggere le minoranze  dall’arbitrio assoluto delle maggioranze, pur consentendo a queste ultime di prevalere, entro certi limiti.

  Si sono sviluppate anche forme nonviolente di lotta, che appaiono particolarmente affini alla cultura religiosa di pace che nella nostra Chiesa ha iniziato a svilupparsi dagli scorsi anni Sessanta (venendo da tutt’altri orientamenti, ciò che permise la disonorevole intesa con il fascismo mussoliniano).

  Non dobbiamo pensare che il fatto di agire in ambienti ecclesiali ci risparmierà di dover attuare qualche forma di lotta per dar corpo alla nostra decisione di ritenere inaccettabile  l’umiliante condizione delle donne tra noi.

  Dovremo impegnarci a non collaborare a forme di emarginazione femminile. Di resistervi anche protestando. Ad esempio contro l’incredibile criminalizzazione pubblica come omicida, anche dai pulpiti purtroppo, della donna che, accedendo alle procedure sanitarie previste dalla legge italiana, esercita il suo diritto di ottenere in sicurezza, in strutture sanitarie del Sistema sanitario nazionale, l’interruzione di una gravidanza che, cito la legge (art.4 della legge 194 del 1978),  comporterebbe  un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche,  o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsione di anomalie o malformazioni del concepito”.

  Nonostante la crudele diffamazione che la colpisce in ambito ecclesiale, la donna che decide ed attua l’interruzione volontaria della gravidanza, nonostante gli sproloqui e gli anatemi teologici, non è di fatto realmente trattata come omicida nemmeno dal diritto canonico, che, come ogni diritto, cura di dare a ciascuno il suo, come da antico principio, e quindi di far conseguire ad ogni condotta la conseguenza che le si addice secondo la sua reale consistenza. Per cui le si apre la via al rapido rientro nella comunità ecclesiale.

  Ci siamo evoluti da mammiferi, e, come avvertono i biologi,  l’ontogenesi, cioè lo sviluppo intrauterino, è anche una filogenesi, un ricapitolo di quella storia evolutiva, e, come ad un certo punto di quella storia evolutiva individuiamo, convenzionalmente, l’essere umano, distinguendolo dagli altri primati, così il diritto, ad un certo punto distingue, convenzionalmente, ad esempio a fini successori o di attribuzioni di responsabilità genitoriali o per integrare fattispecie di reato, quando si diventa uomini e donne in società, ed  è così anche nel diritto della nostra Repubblica. E su questo presupposto che il diritto penale della Repubblica definisce il delitto di omicidio.

  Una cosa, poi, è dire che si pecca tenendo una certa condotta, altra è dire che si commette un crimine e che, quindi, si è criminali. Si pecca contro la volontà divina, si delinque contro la legge della società di riferimento. E’ essenziale non confondere le situazioni. Che fare però se nel diritto della Chiesa una situazione è (ancora) considerata crimine e non è (più)  tale nel diritto della Repubblica? L’aborto volontario era considerato un delitto anche dal diritto penale statale italiano fino al 1978 e poi si è cambiato, a seguito di un mutamento della società. Un referendum, svoltosi nel 1981, confermò che la maggioranza di chi all’epoca poteva votare, comprese un numero notevole di persone cattoliche,  non voleva cambiare la legge che lo consentiva, a determinate condizioni e con certe procedure.  Non credo che la situazione sia cambiata tra la gente.

  Ora l’aborto volontario  è ancora un delitto in Italia, quando lo si pratica non osservando le procedure previste dalla legge, ma senz’altro non è comunque equiparato ad un omicidio volontario.

 Anche nel diritto canonico si dovrebbe cercare di indurre un analogo cambiamento per evitare la spietata criminalizzazione delle donne che vi ricorrono.

   E comunque, fin da ora, ci si dovrebbe  opporre alla loro diffamazione pubblica e all’emarginazione ecclesiale che dovrebbe conseguire, nel caso di aborto volontario, alla scomunica senza necessità di specifico provvedimento gerarchico (una pena canonica, di assurda gravità, comminata, oltre che nel caso di aborto volontario, a eretici, apostati e a chi attenta alla vita del Papa). Di fatto ciò già avviene, a dimostrazione che le cose sono già  molto cambiate. La pastorale, vale a dire il modo in cui si tratta la gente in chiesa, è molto diversa dalla ferocia della teologia morale in materia, e la cacciata non avviene, si cerca anzi di far superare la situazione di peccato in cui una donna, e chi le ha prestato aiuto, risulti  coinvolta per aver voluto e richiesto di interrompere la gravidanza.

  La mia posizione sulla legge in questione è quella esposta qualche giorno fa da Marco Tarquinio: non voglio che cambi, perché non sono sicuro che ne verrebbe una migliore e non si può tornare a quando le donne in Italia, anche quelle cattoliche, abortivano clandestinamente rischiando la vita.

  L’integrità personale delle persone di fede è garantita dal diritto di obiezione di coscienza: non si è costretti a collaborare alle procedure sanitarie di interruzione della gravidanza.

  La decisione di non avere una discendenza o di averla meno numerosa di un tempo non coincide comunque con quella di porre fine alle gravidanze iniziate, ma la precede.

  In genere si sceglie di non avere figlie e figli non per egoismo, secondo la diffamatoria accusa mossa nella predicazione, ma perché non si vedono buone prospettive per la propria discendenza, e non la si vuol fare soffrire.

  Non si tratta solo del fatto che mancano aiuti in gravidanza e nella maternità, ma di ciò che in economia si definisce outlook e che lì, nel caso di outlook  negativo, disincentiva ad investire. La discendenza è un investimento, e che investimento! Il lavoro si è fatto precario, la casa  non si trova, non si sa dove lasciare figlie e figli quando si è al lavoro, e il reddito non basta ad assicurar loro ciò che serve a non farli soffrire in società. Ora poi ci sono anche pericoli concreti di una grande guerra europea, per la quale ci si sta preparando sprecando tante risorse. E ciò che si spreca, poi manca per fare altro.

  A Napoleone Buonaparte, lo stragista imperatore dei francesi, fecero notare quanti morti erano costate le sue guerre ed egli replicò che si era vinto e conquistato e che poi le “donne di Francia”, in un ventina d’anni, avrebbero riempito i vuoti, generando altri soldati da spingere in battaglia. Le coppie (ricordiamo sempre che si genera in due), e in particolare le donne,  non accettano più questa prospettiva.

  Si decide di non generare perché si è persone responsabili e non si accetta di prendere la cosa secondo l’assurda roulette russa  raccomandata dalla teologia morale e dal magistero ecclesiastico.

 Una volta presa responsabilmente la decisione di non generare, i metodi utilizzati dovrebbero essere moralmente indifferenti, in particolare se reversibili, non dannosi per la salute e non imposti in qualche modo alla coppia. E’ più o meno questo che venne consigliato a papa Montini quando, negli anni Sessanta si volle nuovamente dettar legge in merito ed egli invece, contro il parere della maggior parte dei suoi consiglieri, decise di vietare del tutto quelli più sicuri raccomandando quelli meno sicuri, con l’enciclica Humanae vitae – Della vita umana, del 1968, che causò tanta sofferenza soprattutto tra i coniugi cattolici, per i quali il magistero era ancora importante.

  La genitorialità responsabile è mal tollerata dalla nostra gerarchia ecclesiastica, ma in particolare quando a farsene carico sono le donne.

  Si sopravvive, nella nostra Chiesa, praticando una certa ipocrisia, perché naturalmente anche i coniugi praticanti hanno  una discendenza molto meno numerosa di una volta, salvo che in piccole cerchie comunitarie in cui ci si propone di dar corso alla natura accada quel che accada, e quindi in qualche modo si fa  ma non si dice.  Ma è cosa che umilia, in particolare le donne, alle quali, nonostante siano state finora la parte più assidua e fedele del gregge,  sembra sempre che si debba rimproverare qualcosa. Però ora le statistiche avvertono che la situazione sta cambiando: anche loro stanno staccandosi.

  Prendiamo sul serio, dunque, l’orientamento di giudicare inaccettabile certe vessazioni contro le donne e agiamo di conseguenza, apertamente, in particolare nei processi sinodali che sono in corso.

  Invece di criminalizzare le donne, tampinandole fin nei consultori dove obbligatoriamente si recano per le procedure previste dalla legge per ottenere l’interruzione volontaria della gravidanza,  è invece apprezzabile la linea di chi si propone la riforma sociale per rendere nuovamente favorevoli le prospettive che si presentano alle coppie in età fertile, come si fece nel secondo dopoguerra, da cui il cosiddetto baby boom (io sono appunto un baby boomer). Ma questo richiede una seria critica sociale, in particolare delle dinamiche del capitalismo liberista che impera in Occidente e che spinge per rendere deteriore la condizione dei lavoratori alle dipendenze altrui, non più contrastate dalle politiche di benessere sociale cosiddette di Welfare state.  Le retribuzioni dei dipendenti, sotto questo profilo, sono costi che si cerca di ridurre, aumentando il lavoro e riducendo i corrispettivi, in modo da essere più competitivi  in termini di rendimenti del capitale e di prezzi dei prodotti. La precarizzazione legale del lavoro dipendente riduce la sua capacità di resistenza nelle trattative sindacali.

 Lo predicava Giorgio La Pira: il pane è sacro, il lavoro è sacro, la casa è sacra. Sacro  significa sicuro o anche, con la terminologia della nostra Costituzione, inviolabile. Se non si fa in modo di assicurarli alle coppie in età fertile, parlare di inviolabilità della vita  e di natalità sono solo vane chiacchiere.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

domenica 28 aprile 2024

Gli elementi del "fascismo perenne" secondo Gustavo Zagrebelsky

 

Da: ZAGREBELSKY Gustavo, “L’opportunismo degli intolleranti. Perché il fascismo non è d’altri tempi. Le scappatoie di chi non vuole smarcarsi da quel regime che rimane attuale. E che si rinnova nel Tribalismo”, in La Repubblica 27-4-24 – estratto dall’articolo

 

  Fascismo e antifascismo sono la versione moderna d’un conflitto profondo e perenne che modella la vita degli individui nei rapporti sociali, le concezioni e le forme della politica e perfino i rapporti tra gli Stati. Il fascismo che abbiamo conosciuto e conosciamo è solo una manifestazione storica di un unico concetto politico che ha assunto diverse forme concrete, adeguate alle variabili circostanze in cui si è affermato. Per esempio, la dittatura fascista non è riuscita a raggiungere il totalitarismo nazista. Lo stesso si può dire del falangismo franchista e dell’estado novo portoghese.

  Ma, al di là delle circostanze, c’è qualcosa di comune, di profondo e radicato nell’animo umano e nelle pulsioni sociali che spiega la naturale convergenza di tali regimi al di là delle specificità. Questo nucleo comune emerge e riemerge di tempo in tempo. Come possiamo  con una parola il “fascismo perenne” l’Urfashismus (il prefisso ur  indica qualcosa di originario, di primordiale? Nel 1945 con sullo sfondo le tragedie europee tra le due guerre, è stata introdotta la parola “tribalismo” che dà anch’essa, tuttavia, un’idea di qualcosa di arcaico, di appartenente a tempi addirittura preistorici. “La cosa”, al di là della parola, invece, è attuale, sempre. Ne vediamo i contenuti, non necessariamente tutti insieme e non sempre tra loro coerenti: nazionalismo e purismo etico ed etnico; rifiuto della modernità e dei diritti universali; restaurazione dei valori tradizionali; irrazionalismo e avanguardismo; primato dell’azione, anche violenta, sulla riflessione e sulla discussione; anti-intellettualismo; accentramento del potere; decisionismo e anti-parlamentarismo; occupazione e normalizzazione delle istituzioni; disprezzo della cultura e culto della forza; “machismo” e antifemminismo; intolleranza alle critiche; ostilità nei confronti della libertà di pensiero, scienza, arte e stampa; esaltazione dell’uomo normale;  risentimenti e aspirazioni mediocri; senso comune; concezione del popolo come massa organica e indifferenziata; corporativismo; intolleranza verso i “diversi”, “non integrabili”; xenofobia e razzismo conclamati o dissimulati; unanimismo; complesso del complotto; nazionalismo ripiegato su se stesso contro internazionalismo, universalismo e cosmopolitismo; superiorità o unicità nazionale; vittimismo aggressivo.

[…]

  Tutti questi ingredienti sono sostanza  del fascismo del nostro tempo e di sempre: la società come blocco unico. Il tribalismo, cui sopra s’è fatto cenno, significa precisamente questo. Il fascismo storico, dichiaratamente già nel suo simbolo, il fascio dei littori romani, esprimeva questa idea della vita “in blocco” garantita dalla scure del potere.

martedì 16 aprile 2024

MEIC - Movimento ecclesiale di impegno culturale – Assemblea nazionale svoltasi a Roma – Domus Mariae – dal 12 al 14- aprile 2024 DOCUMENTO ASSEMBLEARE APPROVATO

 

MEIC  - Movimento ecclesiale di impegno culturale – Assemblea nazionale svoltasi a Roma – Domus Mariae – dal 12 al 14- aprile 2024

DOCUMENTO ASSEMBLEARE APPROVATO

(Roma, 12-14 aprile 2024)

Il documento assembleare costituisce una traccia di lavoro per il Movimento nel prossimo triennio, a livello nazionale come a livello dei singoli gruppi, una traccia nel sentiero della storia e della vita, non un binario rigido.

0 – PREMESSA

0.1 Nel problematico contesto in cui ci è stato dato di vivere, siamo chiamati ad abitare la storia con vigile consapevolezza, da autentici credenti che abitano pienamente nella città, fatta di tante genti, culture, religioni, modi di vivere. Ciò significa che siamo chiamati a tessere fecondi rapporti tra passato, presente e futuro, cioè a investire nel presente i tesori offerti dal passato, per generare un futuro ricco di umanità e ospitale per le prossime generazioni. Riteniamo questo il senso della tradizione: fecondare il presente con l’eredità, criticamente aggiornata, consegnataci dal passato, per partorire il futuro.

0.2 In tale opera di tessitura tra passato, presente e futuro la dimensione culturale è senz’altro cruciale tanto nella comunità ecclesiale quanto in quella civile. Il MEIC si propone di offrire uno spazio per riflettere e dialogare in modo aperto in una società contemporanea così sfaccettata. I formidabili nodi problematici presenti tanto davanti a noi quanto “dentro” di noi richiedono un grande impegno culturale sia per l’adozione di adeguate chiavi di lettura della realtà, che è superiore all’idea (cfr. Francesco), sia per consentire alla fede di essere un efficace lievito nella nostra vita in tutti i suoi aspetti.

0.3 Perché questo lievito rimanga sempre vivo, il MEIC si nutre di una spiritualità adulta, sia che si basi sulla grande tradizione orante della chiesa (lectio divina, la preghiera della liturgia delle ore), sia sperimentando nuove forme di preghiera e spiritualità laicale, sempre considerando la centralità dell’Eucaristia. Questi tre pilatri ci mettono in ascolto continuo dello Spirito, che illumina il nostro impegno come Movimento e la nostra vita quotidiana di credenti, in tutti gli ambiti nei quali siamo chiamati a vivere.

0.4 Il MEIC, proprio per rendere ragione dei due aggettivi (Ecclesiale e Culturale) che porta nel nome e che costituiscono quindi il motivo del suo esistere, è pertanto chiamato a vivere la sua specifica vocazione rispondendo alle molteplici sollecitazioni che il futuro racchiude in sé. Ciò significa prioritariamente (nonostante l’età media relativamente avanzata dei nostri iscritti) imparare a camminare anche con le generazioni più giovani, partecipando delle loro esperienze, comprendendo i loro linguaggi e la loro sete di verità, intessendo con loro ricche e vitali relazioni umane. Dobbiamo comprendere e valorizzare i loro percorsi professionali, che si sviluppano tra non poche difficoltà in un contesto assai diverso da quello del secolo scorso. Per coinvolgerli attivamente dobbiamo inventare anche nuove modalità associative, ad esempio prevedendo incontri online. Dobbiamo attivare forme non episodiche di collaborazione con le università, le facoltà teologiche e i centri di ricerca, riattivare una linea editoriale del MEIC e mettere il suo sito a disposizione dei gruppi per promuovere una ricerca culturale e un dialogo fecondo tra i diversi percorsi, riprendendo in forme diverse e più aggiornate l’esperienza dei laboratori. Compagni di viaggio “privilegiati” in questo cammino possono essere le studentesse e gli studenti dei gruppi FUCI. Con loro vanno intensificati il dialogo e gli scambi, perché le relazioni intergenerazionali non siano una dichiarazione d’intenti, ma un atteggiamento strutturale, un “metodo”.

0.5 Comprendere coraggiosamente la complessità del nostro tempo attraverso il pensiero, e un pensiero transdisciplinare, è una sfida per tutti, credenti e non credenti. Come MEIC, riteniamo di essere chiamati a pensare in modo accurato, ad analizzare con pazienza, a confrontare diversi punti di vista, discipline e ideali, rinunciando alle facili scorciatoie degli slogan e delle parole d’ordine, spesso fuorvianti e inefficaci, sia per la singola persona, sia per la Chiesa intera.

1 – IL FUTURO DELLA FEDE E IL CAMMINO SINODALE

1.1 E il futuro ci interpella, come comunità ecclesiale, in relazione all’impressionante processo di “esculturazione della fede” che si registra nel presente momento storico, specialmente nel Continente europeo. Nel prendere atto della “fine della cristianità” e dell’emergere di nuove forme religiose (come il pentecostalismo), riteniamo vada colta la preziosa opportunità di una purificazione della fede, che sarà sempre più frutto di scelte personali e istituzionali, nonché di un liberante alleggerimento della nostra struttura ecclesiale e di una nuova inculturazione della fede, che non può non incarnarsi in una cultura. Dobbiamo ricalibrarci sull’essenziale della buona novella cristiana, essenzialmente riassumibile nel kèrigma e rappresentata dalla Parola di Dio, dall’Eucarestia e dai Sacramenti in generale e dalla carità (ministeri), che comprende l’ecumenismo quotidiano che sa accogliere tutti. Vogliamo qui fortemente sottolineare e valorizzare tutta l’esperienza e le umane competenze, ossia la laicità. In questa prospettiva continueremo a partecipare al cammino sinodale della Chiesa italiana e universale, accompagnando con il nostro impegno il percorso riformatore intrapreso da papa Francesco.

Possiamo farlo continuando a interrogarci sull’essere Chiesa oggi, rispettando i diversi contesti ecclesiali, aprendoci alla collaborazione con le diverse comunità a livello locale, mettendoci in cammino per andare a conoscere realtà magari a noi vicine, ma ancora sconosciute.

1.2 Nell’accompagnare le sessioni ufficiali del Sinodo della Chiesa cattolica universale, il nostro Movimento è chiamato sia a porsi in ascolto delle novità che lo Spirito Santo suscita nei “padri” e nelle “madri” sinodali, sia a essere capace di prendere opportunamente la parola, dopo attenta riflessione e sempre in spirito di comunione. La riflessione teologica e l’esperienza viva delle comunità cristiane richiamano la necessità di una piena valorizzazione dei carismi delle donne, vincendo resistenze che non sono più comprensibili nell’attuale contesto culturale.

1.3 Intendiamo vivere questo cammino con la consapevolezza che ogni identità sia in continuo divenire, plasmata dalle relazioni con le sorelle e i fratelli; che l’essenziale per il cristiano sia la sequela di Cristo, dal cui amore nulla potrà separarci; che dobbiamo accettare le nostre debolezze, le nostre fragilità, la nostra incapacità di affidarci totalmente a Dio, perché è precisamente nella nostra debolezza che riposa la nostra forza di credenti in Cristo. Il MEIC riconosce di avere ancora davanti a sé un lungo cammino prima di incarnare pienamente un vero stile profetico, capace di allargare gli orizzonti e di far dialogare realtà diverse, senza timore di rimanere qualche volta da soli o di sostenere posizioni minoritarie.

1.4 Riteniamo poi che l’ecumenismo debba costituire un impegno permanente e strutturale per il Meic e debba puntare a una piena e reale comunione tra le chiese: i cristiani non potranno essere credibili di fronte al mondo se non sapranno parlare con la stessa voce sui grandi temi del nostro tempo, sia pure nel rispetto delle differenze confessionali.

2 – IL FUTURO DELL’UMANITÀ E DEL CREATO

2.1 Il futuro ci interpella, in quanto esseri umani, in riferimento al rapporto tra umano e “non umano”, nel senso di non “naturalmente umano”. È sufficiente al riguardo richiamare ilvertiginoso progresso scientifico e tecnico, foriero di sempre nuove opportunità, ma anche di gravi rischi: si considerino in particolare le sfide recate dall’intelligenza artificiale (con ripercussioni tanto sulla vita individuale quanto su quella collettiva, come sul futuro di molti lavori e, quindi, sulla forma della nostra società) e, più in generale, la vasta problematica che si condensa attorno al cosiddetto post-umano. Ci sollecitiamo a vicenda, a tutti i livelli del nostro Movimento, a continuare a interrogarci su questi temi e a chiedere aiuto per comprenderli meglio a tutte le realtà competenti (Università, centri di ricerca, associazioni specialistiche).

2.2 Si consideri inoltre come la tecno-sfera e la info-sfera incidano sulla bio-sfera, facendo emergere la questione ambientale. La relazione tra gli esseri umani e l’intero creato ha ormai assunto sul piano globale una centralità del tutto inedita, che esige di muovere in direzione di una “ecologia integrale”, secondo la felice espressione suggerita da Francesco. Su tali fronti, che particolarmente sollecitano la nostra intelligenza e la nostra creatività, le prospettive aperte dalla nostra eredità culturale e dal personalismo cristiano risultano segnate dalla centralità della coscienza, come sacrario che custodisce il volto più genuino della nostra umanità, e dunque dalla radicale apertura all’essere, non solo come verità, ma anche come bellezza e come bene.

2.3 Si ritiene necessario continuare a riflettere sulle implicazioni e sulle contraddizioni che la questione ambientale presenta. Proprio su questo argomento il dialogo e la collaborazione con i gruppi FUCI locali si rivelano particolarmente fecondi, perché proprio le giovani generazioni negli ultimi anni ci hanno richiamato all’urgenza del problema. Conversazioni a più voci, approfondimento costante, affinamento della capacità di vedere la complessità della questione sono solo alcuni degli strumenti che possiamo fare nostri e tradurre nella vita dei gruppi. Il rispetto dell’ambiente comporta vaste trasformazioni che tutti siamo chiamati a capire e a far capire per modificare i nostri stili di vita e di consumo, di produzione e di sviluppo, puntando su beni davvero immateriali e non sul continuo aumento di prodotti costruiti per essere presto sostituiti. La transizione ecologica non può rimanere solo una formula o un’etichetta su progetti, ma deve diventare una trasformazione profonda della vita sociale. Per comprenderla e farla comprendere, il MEIC può fare ricorso alle competenze al proprio interno e chiedere ad esperti esterni, perché la transizione ecologica diventi una costante della comunità cristiana a tutti i livelli. La tradizione cristiana ci ha offerto in passato non pochi esempi di sobrietà, rispetto, consapevolezza dei propri limiti. Si affaccia oggi la necessità di una cultura che sappia cogliere le interconnessioni fra le parti ed il tutto, fra le singole discipline e il sapere dell’Intero, fra settori diversi tra loro, ma oggi tutti connessi.

3 – IL FUTURO DELL’ECONOMIA

3.1 L’economia si presenta oggi come attività che determina in modo spesso inarrestabile le dinamiche sociali e politiche del mondo intero. Non bisogna aver paura di contestarne sia lo stato attuale, con l’eccessivo peso acquisito dalla finanza, sia l’influenza esercitata da un ristretto numero di persone e di multinazionali che detengono il potere economico. Il MEIC si propone di studiare come ripensare l’economia riportandola alla sua vera natura: attività dell’uomo e per

l’uomo, perciò chiamata ad essere al servizio della dignità di ogni persona umana e del bene comune.

3.2 È quindi necessario rifondarla, mettendo al centro l’essere umano e la casa comune: economia è– etimologicamente intesa – “gestione della casa”. Siamo chiamati a pensare una “economia per la casa comune”, riconoscendo come principio cardine – secondo l’art. 2 della Costituzione italiana – la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà in particolare verso gli ultimi. Va affrontata anche la crisi dello Stato sociale, che lascia spesso sole le persone più fragili di fronte all’impatto della globalizzazione; le soluzioni andranno cercate non in forme di assistenzialismo ma in una seria politica del lavoro e nel rafforzamento del sistema formativo e di quello sanitario.

4 – IL FUTURO DELLA DEMOCRAZIA

4.1 Il futuro ci interpella anche, in quanto membri della comunità politica, in riferimento ai processi di crisi delle liberal-democrazie costituzionali, che si manifestano tanto al loro interno, corrodendone le basi di legittimazione, quanto sul piano globale, erodendone il ruolo forte, e per molti versi egemone, giocato lungo il secolo XX nel sistema delle relazioni internazionali.

4.2 Per quanto riguarda le crisi che si manifestano in seno agli ordinamenti liberal-democratici e personalistici, ne sono a un tempo fattori ed espressione la crescente disaffezione e volatilità elettorale, la carenza di partecipazione civica, l’indebolimento dei legami sociali, la disintermediazione e la perdita di ruolo delle formazioni sociali che storicamente hanno svolto una preziosa opera di mediazione tra il cittadino e le istituzioni pubbliche, la crescita di forze di stampo sovranista e nazionalista. Le risposte a tali criticità non possono che essere articolate su molteplici dimensioni: culturale, etica, educativa, istituzionale, politica, sociale. Tuttavia, tali dimensioni devono essere sinergiche, in quanto tutte convergenti nel configurare nuove forme di inveramento storico dei valori costituzionali.

4.3 La complessità delle cause della crisi della democrazia si sposa con la complessità delle questioni cui la politica, a livello nazionale, europeo, mondiale, deve dare risposte, rifuggendo dalle facili semplificazioni, anche se elettoralmente efficaci. Per quanto riguarda l’Italia, il riferimento va anche ai progetti di riforma costituzionale attualmente in discussione, e che vanno studiati senza pregiudizi, indagandone ed evidenziandone rischi ed opportunità.

4.4 Quanto alla dimensione geopolitica, si rileva la crescente influenza di potenze autoritarie o totalitarie, che si mostrano in grado su molti scacchieri di prevalere sulle liberal-democrazie e di orientare e plasmare le dinamiche politiche e socio-economiche di larghe aree del globo; contrariamente a quanto si riteneva dopo il crollo del muro di Berlino del 1989, solo la metà circa della popolazione mondiale vive in regimi che potrebbero definirsi liberal-democrazie.

4.5 Il patrimonio del cattolicesimo democratico e personalistico, che è iscritto nella nostra storia, induce a contrastare con la massima energia simili processi degenerativi delle democrazie; a  supportare l’evoluzione in senso federale del processo di integrazione europea, sconfiggendo anacronistici nazionalismi e pericolosi sovranismi; ad assumere come stella polare del necessario ripensamento di forme ed istituti dei sistemi democratici (e, in generale, della convivenza civile) il patrimonio di diritti inviolabili della persona umana e di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale che è iscritto nella nostra Carta costituzionale (art. 2), per il raggiungimento di una cittadinanza planetaria (art. 9). Dobbiamo pertanto riscoprire e riproporre in forme nuove il ruolo dei cattolici democratici nella costruzione dell’Europa e promuovere una coscienza europeista, nella prospettiva di un rafforzamento dei poteri decisionali della comunità europea, avendo come obiettivo ultimo la costruzione di un soggetto federale.

4.6 Riteniamo che tale patrimonio rappresenti la migliore garanzia di un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni (art. 11 Cost.) e, a un tempo, la sicura guida di ogni riforma politico-istituzionale.

5 – IL FUTURO DELLA PACE

5.1 Papa Francesco dall’inizio del suo pontificato, sia nei documenti magisteriali sia in messaggi, discorsi e omelie, ci ammonisce circa la presenza nel mondo di una terza guerra mondiale “a pezzi”. I più recenti conflitti hanno imposto il tema della guerra e della pace come tema di primo piano nel discorso pubblico interno e internazionale, anche all’interno delle Chiese, poiché il fattore religioso gioca spesso un ruolo centrale, con la dolorosa conseguenza che non sia sempre possibile l’equazione “pace” - “religione”. I conflitti spaccano non solo le opinioni pubbliche, ma spesso anche le nostre comunità cristiane.

5.2 Occorre accettare la sfida di rinunciare alle semplificazioni, di rinunciare a vedere nei conflitti i “buoni” e i “cattivi”. Occorre accettare la fatica della conoscenza dei fattori geopolitici, religiosi, storici, economici, culturali, che spiegano i drammi di oggi, e insieme lavorare per una cultura di pace, per il riconoscimento del diritto internazionale, per il riconoscimento reciproco, anche grazie all’aiuto della comunità internazionale, da parte di popolazioni in conflitto da decenni come portatrici di uguale dignità e di uguali diritti, mentre oggi le guerre in corso sembrano puntare sostanzialmente alla eliminazione dell’altro.

5.3 Anche su questo tema il Movimento è chiamato a portare nel pubblico dibattito elementi di riflessione e di conoscenza della complessità delle questioni, al fine di far crescere in tutti l’amore e il desiderio di pace.

5.4 Siamo molto preoccupati per la corsa al riarmo, frequentemente denunciata da papa Francesco, la quale rischia di alimentare ulteriore violenza e guerre. Il Movimento è impegnato a seguire con attenzione gli aspetti legislativi nazionali ed europei relativamente al dramma della fabbricazione e della vendita delle armi.

Contestualmente, occorrerà continuare la riflessione sul presente e sul futuro dell’Unione europea, casa comune di popoli che per secoli si sono combattuti, e che deve diventare esempio e modello di superamento di ogni barriera e confine.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

(1Cor 12,7-11)

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Mozione presentata dal  Gruppo del Lazio all’Assemblea nazionale del MEIC – 12-14 aprile 2024 ed approvata dall'Assemblea

 Amiche e amici del MEIC,

all'inizio di questo triennio associativo, il MEIC LAZIO invita il Movimento a confermare la scelta per i temi fondamentali della nostra identità: il dialogo del vangelo con la cultura; l'ascolto delle culture; l'impegno ad elaborare una cultura veramente umana.

Chiediamo di valorizzare le "cento" realtà locali che costituiscono la vitalità del nostro Movimento e sostenere la vivacità dei territori che esprimono la ricchezza del patrimonio

culturale e professionale del MEIC.

Una convivenza armoniosa nel MEIC e nella Chiesa é possibile quando ci si riconosce vicendevolmente - donne e uomini - soggetti con pari dignità. Per questo è importante il tema della questione femminile come questione ecclesiale, attingendo con maggiore vitalità all'esperienza femminile del Movimento e dedicando una maggiore attenzione alla eguaglianza dei generi nel linguaggio dei documenti, nella partecipazione ai processi decisionali, nella elaborazione della riflessione culturale.

Siamo convinti di continuare a svolgere il nostro servizio alla Chiesa e al Paese, accettando la sfida di appartenere da cristiani adulti alla comunità ecclesiale ed essere insieme cittadini responsabili della "città dell'uomo".

Nel cammino sinodale, il nostro contributo sia nel progettare la "via della fede", alla sequela di Gesù, che per noi è l'essenziale. In questa prospettiva si situa l'impegno a partecipare attivamente ai cammini sinodali e agli organismi ecclesiali, cercando di prendervi la parola.

La scelta della democrazia per noi è fondamentale e ci invita a contrastare culturalmente e politicamente ogni totalitarismo e populismo, a promuovere un progetto di pedagogia civile alla democrazia e a riproporre, rinnovato, il patrimonio culturale del cristianesimo democratico.

Ci appassiona l'interesse per la comunità europea. L'Europa, impegnata nel grandioso processo di unificazione comunitaria promossa e guidata dall'Unione Europea, è il nostro principale ambiente sociale di riferimento. Il MEIC si impegni a contribuirvi praticando il metodo del dialogo culturale.

La pace ci interpella come Movimento e come cristiani. Le religioni sono state storicamente concause di sanguinosi conflitti e ancor oggi vengono strumentalizzate a tale fine. L'invito è di insistere sulla promozione della pace a tutti i livelli, con particolare attenzione all'accoglienza di ogni persona e all'apertura ad ogni cultura e fede. Per questo appare necessario promuovere e sostenere politiche di pace, accettando la fatica della conoscenza reale dei fattori in gioco e uscendo dalle semplificazioni moralistiche. IL MEIC potrebbe contribuire alla pace organizzando incontri di dialogo interculturale e interreligioso, in particolare in ambito

cristiano con il costante sostegno all'ecumenismo.

Con lo sguardo al futuro e alle nuove generazioni, è necessario che il MEIC approfondisca sul piano culturale i temi più sensibili per i giovani (i nuovi linguaggi, la tecnica e l'Intelligenza Artificiale, l'ecologia e la biodiversità, le questioni di bioetica) e promuova iniziative per avvicinare i giovani al Movimento, anche con la creazione di un Movimento giovanile del MEIC. In questa linea, ci preme l'urgenza di una valutazione oggettiva della situazione associativa del Movimento, in ordine ai temi delle adesioni, della vita dei gruppi, della rilevanza del MEIC nella società e nella Chiesa. Una specifica sessione del CN del MEIC e/o una apposita equipe di lavoro appare necessaria.

Infine, pensiamo che più che stare nel MEIC bisogna essere MEIC. Quello che conta è l'ambiente in cui si cresce, i valori che si respirano, le esperienze che ci coinvolgono. La vita del MEIC forma attraverso le relazioni tra le persone e il loro stile di vita.

La vita associativa del MEIC è fondamentale luogo di comunione, in cui da credenti sperimentiamo la dimensione della vita cristiana e la sua esigenza di prossimità, di condivisione, di umanità. In una parola, l'associazione crea le basi di una autentica e piena amicizia, in un clima di unità.

In conclusione, riportiamo per punti i temi che riteniamo più rilevanti per il Movimento:

1. Insieme alla Chiesa nel cammino sinodale.

2. Al cuore della democrazia e dell'Europa.

3. In ascolto dei segni dei tempi: la dignità della donna, la pace, l'accoglienza, le nuove

tecnologie.

4. Con lo sguardo al futuro e alle nuove generazioni.

5. L'attenzione alla identità e alla vita del MEIC: gruppi, adesioni, giovani, alleanze,

visibilità.

 

Roma 12 aprile 2024

Meic Lazio


lunedì 1 aprile 2024

Tempo di Pasqua

 

Tempo di Pasqua

 

  Fino a Pentecoste, che quest’anno di celebrerà il 19 maggio,  si sarà nel Tempo liturgico di Pasqua.  Nella liturgie delle messe domenicali si medita sull’organizzazione comunitaria dopo l’evento della Resurrezione. La Prima lettura è sempre tratta dagli Atti degli apostoli, libro del Nuovo Testamento il cui testo si pensa risalga agli anni ’70 od ’80 del Primo secolo.

  La liturgia ci parla del trascorrere di un certo tempo prima che i seguaci del Maestro ucciso sulla croce si organizzassero e andassero per il mondo a predicare e fondare comunità. Fu necessaria un’azione potente dello Spirito, manifestatosi come vento e  lingue di fuoco nel “luogo” dove tutti  si erano radunati, per dare il via alla cosa. E’ ciò di cui si fa memoria a Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua. La festa prende il nome da una festa dell’antico giudaismo, transitata nell’ebraismo contemporaneo, nella quale si ricorda il dono della Legge sul monte Sinai. Derivò storicamente da una festa del raccolto.

  Il Vangelo fino ad allora non aveva avuto una valenza politica, quindi non era servito per costruire e governare comunità, e non l’ebbe per vari decenni. La conversione  a cui esortava era più che altro un cambiamento di mentalità. Occorse tempo, si dovette arrivare all’epoca a cui risale il testo degli Atti degli apostoli, perché la situazione iniziasse a cambiare. Si dovette divenire stanziali da peregrinanti che si era. Emerse l’autorità dei vescovi e poi, verso la fine del Primo secolo,  del  vescovo monocratico, come fattore di unità. Nel movimento sinodale, del quale abbiamo tracce affidabili dal Terzo secolo, si costruì una grande federazione religiosa multicentrica, che impressionò le stesse autorità imperiali romane. Antiochia in Siria, Alessandria in Egitto, Cartagine nella provincia romana d’Africa e Roma in Italia ne appaiono i primi importanti centri culturali. Di solito si ricorda anche Gerusalemme, la quale però, tra il 70 e il 135 fu in realtà annientata dai romani e venne ricostruita con il nome di Aelia capitolina (si legge èlia capitolina). Ho letto che fino al 7° secolo fu vietata agli ebrei (tutti i primi cristiani furono giudei, anche se progressivamente si aggiunsero anche non giudei, come risulta anche negli Atti degli apostoli). Nel 5° secolo vi fu costituito un patriarcato.

  In  un processo storico e sociale che è ancora piuttosto misterioso, sul cristianesimo consolidatosi nel Terzo secolo venne costruita nel secolo seguente una nuova ideologia politica dell’impero romano, il cui centro propulsore nel Quarto secolo fu trasferito nella nuova città di Costantinopoli, la nuova Roma, in Tracia, che prese il nome dall’imperatore romano  Costantino 1°.

 Di solito ci si pensa in continuità con i primi seguaci del Maestro, quelli che furono in vita quando egli fu ucciso, e senz’altro dal punto di vista ideale è così. Ma dal punto di vista sociologico e storico, la nostra Chiesa è stata costruita nel Secondo millennio ed è diventata come la vediamo oggi da poco meno di due secoli. E, comunque, teniamo conto che, sotto quei profili, i cristianesimi sono stati costruiti dai cristiani e quindi ve ne sono stati molti prima. Sotto tutti i punti di vista, in Europa occidentale si è oggi in una fase di passaggio, un po’ come accadde dopo la morte del Maestro.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

domenica 31 marzo 2024

Pasqua 2024

 

Pasqua 2024

 

  Spiegare il senso profondo della Pasqua cristiana decrittando la relativa teologia, in modo da rendere un’idea di ciò che la festa evoca che sia coinvolgente  anche per chi  ha perso dimestichezza con le parole della fede, non è facile. Specialmente in una confessione come quella cattolica nella quale da metà Ottocento la fa da padrona un teologia dogmatica tanto crudele e dispotica, quanto ormai poco utile per l’evangelizzazione. Veniamo poi da un lungo e triste periodo ecclesiale nel quale si è assistito ad una ripresa dell’assolutismo papale in funzione essenzialmente reazionaria: quello che si è cominciato ad indicare come un inverno ecclesiale e che si è vissuto tra il 1978 e il 2013. La svolta, comunque, risale storicamente a inizio Ottocento quando, dopo il Congresso di Vienna (1814-1815), nel quale dalle potenze vincitrici fu disegnata la nuova Europa dopo la definitiva sconfitta militare e politica dell’Impero di Napoleone Bonaparte, il Papato romano diede all’intera Chiesa cattolica una struttura modellata su quella degli stati contemporanei, che prima era stata propria solo del suo piccolo regno territoriale nell’Italia centrale.

  Chi vuole approfondire, lo potrà fare, ad esempio, leggendo il testo di Daniele Mennozzi, La storia della Chiesa, L’età contemporanea (vol.4), editore EDB 2019, disponibile anche in e-book e Kindle, o, con riferimento particolare ai rapporti tra Chiesa e Stato in Italia, il classico di Arturo Carlo Iemolo, Chiesa e stato in Italia negli ultimi cento anni, che io ho nell’edizione riveduta e ampliata del 1963,  riedita da Einaudi nel 1990, con un aggiornamento per il “Dopo fascismo”. Si vedrà come purtroppo il ruolo politico del Papato romano fu estremamente negativo per lo sviluppo di processi democratici in Italia fino al 1942, al contrario di quello di altre componenti del popolo di fede.

   In genere le spiegazioni sulla Pasqua che si danno nelle omelie, che per i più sono la principale fonte di apprendimento delle cose di fede, vengono accolte superficialmente,  come un arredo liturgico.

  Si dice che la morte è vinta. Ma l’evidenza è proprio il contrario.

  Del resto per la gente, come anche per ogni altro organismo vivente, la morte non è un vero problema: ognuno sa come affrontarla se riesce a fare appello alle sue risorse interiori innate, liberandosi delle direttive che in merito danno le culture di riferimento, che servono solo finché una persona è viva. Lo so per esperienza personale. La religione non è utile nell’agonia. Può essere anche controproducente.

  Lo scrittore russo Tolstoj, grande anima,  scrisse, due anni prima di morire,  una  Lettura del vangelo in breve, per spiegare la fede ai ragazzi che vivevano nella sua tenuta agricola. È disponibile anche in eBook e Kindle. Cercò di farlo estrapolando le parole che nei Vangeli sono direttamente messe in bocca a Gesù, nello scopo dichiarato di liberare la fede dagli elementi dogmatici e di dare indicazioni concrete di vita buona. E’ un’operazione che, comunque, come riferiscono gli esegeti, non ci consente veramente  di leggere esattamente le parole del Maestro come egli le pronunciò nella sua predicazione, perché i Vangeli, il cui testo si condensò molti decenni dopo la sua morte, sono totalmente  opera redazionale con lo scopo principale di dare indicazioni sulla costruzione comunitaria nel tempo in cui furono scritti. Ma che consente di verificare che la vita dopo la morte non appare al centro di quella predicazione. Potete provare anche voi a farlo.

  Nella teologia, in particolare in quella del Secondo Millennio, a quell’aspetto si è data invece moltissima importanza. Ne è testimonianza la Trecentesca  Divina Commedia dantesca, nella quale, sulla base di quella teologia, si costruì un incubo orrendo  dove, per  molte persone, peccatrici, la vita dopo la morte è immaginata come una permanenza in una specie di azienda dell’orrore nella quale  esseri superni si dedicano a torturarle nei modi più strani, per alcune di esse per sempre. Per scamparvi fu ideata la teologia delle indulgenze, gestita dal Papato romano, che fu sviluppata anche con metodologia propriamente  giuridica e che, nel Cinquecento, portò allo scisma protestante, perché ne fu obiettata la mancanza di fondamento evangelico.  al che il Papato e le potenze sue alleate reagirono con un’incredibile violenza, alla quale si replicò con violenza analoga.  La frattura sul punto si è risanata, dopo secoli di incredibili violenze, nel 1999, con la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione firmata da cattolici e luterani a Resenburg [Germania] alla quale via via hanno aderito altre Chiese protestanti.

  Resurrezione propriamente non è vita dell’anima dopo la morte, ma significa tornare in vita in spirito e corpo dopo che si è morti, anche se in un modo diverso, esattamente come si narra sia avvenuto per Gesù di Nazareth. Infatti, i racconti evangelici raccontano che si presentò ai suoi discepoli con il proprio corpo, anche se con i segni della Passione, invitando l’apostolo Tommaso,  che dubitava, a mettere la mano nelle sue piaghe.

  Come può accadere? Naturalmente non lo sappiamo e nemmeno possiamo immaginarcelo.

  Da molte tracce che troviamo negli scritti neotestamentari possiamo dedurre che i primi gruppi dei seguaci del Maestro siano rimasti sorpresi della sua morte in croce e che il giudizio sul mondo non fosse giunto di lì a poco, restaurando il bene. L’inquadramento della Resurrezione che vi troviamo servì a mantenere viva la speranza.

  Per avere un’idea della scansione temporale, immaginiamo che Gesù sia stato messo a morte negli scorsi anni ’30, regnante Pio 11°. Le Lettere di Paolo sarebbero state scritte negli scorsi anni ’50 sotto Pio 12°. Il testo dei vangeli si sarebbe formato sotto Giovanni Paolo 2°, tra gli anni ’80 e la fine del  millennio. Le attese andate deluse nei decenni seguiti alla morte del Maestro vennero tenute vive dando loro una prospettiva più ampia, alla fine dei tempi. Ma la Resurrezione, comunque, rimase tale: anima e corpo, come si dice.

  La Pasqua, che Gesù fino alla fine intese  nel senso giudaico, celebrando la cena rituale secondo l’uso giudaico (almeno secondo la narrazione dei Vangeli sinottici),  fu allora riferita alla sua Resurrezione.

 

Quando venne l’ora per la cena pasquale, Gesù si mise a tavola con i suoi apostoli. Poi disse loro: «Ho tanto desiderato fare questa cena pasquale con voi prima di soffrire. Vi assicuro che non celebrerò più la Pasqua, fino a quando non si realizzerà nel regno di Dio».

 Poi Gesù prese un calice, ringraziò Dio e disse: «Prendete questo calice e fatelo passare tra di voi. Vi assicuro che da questo momento non berrò più vino fino a quando non verrà il regno di Dio». Poi prese il pane, fece la preghiera di ringraziamento, spezzò il pane, lo diede ai suoi discepoli e disse: «Questo è il mio corpo, che viene offerto per voi. Fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, alla fine della cena, offrì loro il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza che Dio stabilisce per mezzo del mio sangue, offerto per voi.

[Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 22, versetti da 14 a 20 – Lc 22, 14-20 – versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

  In questo importantissimo brano evangelico, la cui  narrazione corrisponde a quella di Mt 26, 26-30; Mc 14, 22-26; 1 Cor 11, 23-25, troviamo menzionati il Regno di Dio  e la nuova alleanza, che potrebbero esserci utili per evadere da certe fantasie spiritistiche sul dopo morte al  modo di Dante Alighieri.

  Siamo operaie e operai di quel Regno e partecipi di quell’alleanza.

  Accettiamo la morte fisiologica senza drammi, seguendo in questo l’esortazione di Francesco d’Assisi, che la chiamò sorella, nello spirito dell’uomo medievale, immerso com’era nella natura che lo sovrastava ma della quale anche si sentiva parte.

  Siamo sempre in una condizione di passaggio, noi personalmente  e la nostra società: la nostra Pasqua si celebra di giorno in giorno, fino all’ultimo, e anche quel giorno lo vivremo come un passaggio, che però vivremo soli, ma basteremo a noi stessi se lasceremo fare al nostro organismo. Siamo biologicamente programmati per nascere e morire.  Come accadde ai nostri avi accadrà anche per noi.

  E tuttavia la nostra vita in spirito e corpo non è per questo senza significato. Questo il messaggio pasquale. Per quel Regno, per quell’alleanza, che sono già in atto. Speriamo che con la nostra morte fisiologica non sia tutto finito e nel frattempo diamoci da fare per l’edificazione del Regno seguendo l’esempio del Maestro e confidando in quell’alleanza: il suo giogo, disse, è dolce e il peso leggero.

 

  In quel momento Gesù disse: 
«Ti ringrazio, Padre, 
Signore del cielo e della terra, 
perché hai nascosto queste cose 
ai grandi e ai sapienti 
e le hai fatte conoscere ai piccoli». 

Sì, Padre, così tu hai voluto. 

E disse ancora: «Il Padre ha messo tutto nelle mie mani. Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre. Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e quelli ai quali il Figlio lo fa conoscere».

  «Venite con me, tutti voi che siete stanchi e oppressi: io vi farò riposare.Accogliete  le mie parole e lasciatevi istruire da me. Io non tratto nessuno con violenza e sono buono con tutti. Voi troverete la pace, perché quel che vi comando è per il vostro bene, quel che vi do da portare è un peso leggero».

[dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 11, versetto da 25 a 30 – Mt 11, 25-30 -    Versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

 Siamo stati salvati nella speranza, è scritto (Rm 6,24-25). Non avremo nulla di più in questa vita, ma è già molto.

  La Pasqua può essere spiegata anche così: come festa della speranza nei passaggi della vita. Chi è genitore la vede come incarnata nelle figlie e nei figli. Nell’età anziana questo spirito “pasquale” lo si può sviluppare nei confronti di tutte le persone più giovani, allargando maternità e paternità in senso spirituale. Si diviene così guide e consolazione per la gente intorno.

  E la sofisticata nostra teologia? Ha una sua funzione, naturalmente. Ha sviluppato un grande pensiero (del quale la gran parte delle persone, anche di quelle colte, si mostra spesso inconsapevole) che ha ancora una sua utilità sociale, quando non fa soffrire inutilmente. Ma, nella mia esperienza, è vano cercarvi consolazione spirituale personale. Serve, come ogni altra forma di cultura, ad organizzare la società.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.