INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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sabato 18 ottobre 2025

Chiesa povera

 

Chiesa povera

 

1.  L’atteggiamento ecclesiale ed ecclesiastico verso la povertà è al centro dell’enciclica Ci ha amati – Dilexit nos (ottobre 2024) e dell’esortazione apostolica Ti ha amato  - Dilexit te (ottobre 2025). Ecclesiale  significa della comunità di tutte le persone di fede; ecclesiastico significa della struttura gerarchica e degli ordini religiosi. Il tema comprende l’atteggiamento verso i poveri, che ha anche una rilevanza etica, lo stile di vita personale e istituzionale quindi verso sé stessi e verso e nella comunità, ed anche questo aspetto ha un valore etico, e la riforma delle società e delle loro istituzioni per contrastare le cause della povertà e lenirne le conseguenze, quindi le politiche riguardanti la povertà.

  Nella nostra cultura, una persona è considerata povera  quando non dispone, o non dispone a sufficienza, di beni ritenuti essenziali per condurre una vita considerata dignitosa nella società di riferimento. La povertà è considerata assoluta quando la carenza riguarda beni fondamentali per la sopravvivenza e relativa  quando si dispone di beni in misura sensibilmente inferiore a quella media della popolazione.

 Come ricordato nell’esortazione apostolica Ti ha amato, ci sono varie specie di povertà: riguardano, ad esempio, i beni materiali, la salute, fisica e mentale,  ma anche l’istruzione e l’integrazione sociale. Una persona può essere ricca di beni, ma povera di salute e sola, quindi povera nelle relazioni sociali. Fatalmente il sommarsi di varie povertà, e non di rado l’una è causa dell’altra, fa scivolare le persone verso la povertà assoluta.

 Nelle tradizioni cristiane, tributarie in questo del giudaismo delle origini, il tema della povertà è trattato sotto il profilo della giustizia. Figlie e figli di uno stesso Padre, è considerato ingiusto abbandonare una sorella o un fratello nella povertà, soprattutto se si vive nell’abbondanza e ancor più se si vive nell’abbondanza mentre il povero languisce poco distante. E’ l’insegnamento etico che emerge dalla parabola di epulone e di Lazzaro [nel Vangelo secondo Luca, capitolo 16, versetti da 19 a 31 – Lc 16, 19-31]. Si è esortati ad aiutare i poveri dividendo la propria abbondanza.

  Negli stati moderni, la povertà è divenuta un problema politico, quindi di governo delle società, perché si è acquisita consapevolezza delle sue cause sociali. Non si fa più questione solo di giustizia, ma di benessere collettivo. Viene considerato interesse pubblico accrescere il benessere collettivo, compreso quello delle singole persone, perché questo rende più stabili, sicure e felici le società: vi si vive meglio. Da qui una serie di politiche attive per realizzare quell’obiettivo, finanziate con lo strumento tributario, che consente di drenare legalmente una quota delle ricchezze private a beneficio pubblico, ma anche, in certi casi, organizzando attività economiche controllate direttamente da istituzioni pubbliche. L’espansione di queste politiche ha seguito lo sviluppo di democrazie avanzate, che ha consentito una maggiore partecipazione politica della popolazione, compresa quella esclusa dal controllo privato delle leve dell’economia. C’è quindi una relazione diretta tra sviluppo delle politiche di benessere collettivo e sviluppo della democrazia. In genere si sostiene che in Italia negli ultimi vent’anni quelle politiche sono arretrate:  è opinione comune che nello stesso periodo sia entrata in crisi anche la nostra democrazia.

2. La questione di una Chiesa povera  riguarda essenzialmente le istituzioni ecclesiastiche.

  Nelle società di solito i ricchi sono delle minoranze. Esse tendono a controllare le leve del potere politico, in mancanza di procedure democratiche. La ricchezza apre le porte della politica e l’esercizio del governo aumenta la ricchezza di chi lo pratica.

  La nostra Chiesa come comunità ecclesiale, si stima che ne facciano parte oltre un miliardo di persone, non è composta in maggioranza da gente ricca e, anzi, in essa vi sono larghe fasce di povertà. Di più: la maggior parte delle persone è appena sopra la soglia della povertà relativa: basta una malattia o la perdita del lavoro perché vi cada dentro.

 Il problema di una Chiesa povera  riguarda, invece, sicuramente da vicino  l’apparato ecclesiastico, che  povero  non è (tuttora in Italia la nostra Chiesa è tra i primi proprietari immobiliari). Storicamente emerse all’inizio del Secondo millennio quando si cominciò ad avvertire nelle società europee che stavano uscendo dal Basso Medioevo e in cui si stavano manifestando effervescenti movimenti popolari, l’incoerenza tra le esortazioni evangeliche e gli stili di vita degli ecclesiastici, i cui vertici avevano iniziato a vivere come principi. Il fenomeno risale al 6° secolo, quando il Papato romano progressivamente assunse caratteristiche di un vero e proprio regno territoriale, ma si sviluppò enormemente dall’11° secolo, quando la nostra Chiesa assunse, progressivamente, le caratteristiche attuali e, dal Seicento, quelle di uno stato.

  All’inizio del Secondo Millennio la nostra Chiesa venne riformata prendendo come riferimento il modello monastico. I monaci facevano voto di povertà, ma gli ordini religiosi di appartenenza divennero molto ricchi. Quello che i monaci facevano come penitenza, per la maggior parte del resto della popolazione era routine necessitata da reale povertà. Lo osservò una volta, un po’ polemicamente, David Maria Turoldo, grande poeta e predicatore, lui stesso frate dell’Ordine dei Servi di Maria.

 Si cominciò a predicare a tutti la povertà come ideale di vita ecclesiale. Una persona come Francesco d’Assisi ne trasse le estreme conseguenze, riscuotendo un vastissimo consenso popolare, prova di quanto fosse divenuto intollerabile lo scandalo tra la ricchezza dei principi ecclesiastici e la povertà della maggior parte dell’altra gente.

  L’argomento di uno stile di vita ecclesiastica più sobria divenne consueto nei ciclici tentativi di riforma, con alterne fortune. E questo fino al Concilio Vaticano 2°, celebrato a Roma tra il 1962 e il 1965, durante il quale del tema si discusse anche se il dibattito non portò a decisioni nei documenti finali.

  Con l’aiuto di ChatGPT faccio memoria di un episodio di quel dibattito.

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 Il cosiddetto “Patto delle Catacombe” è uno degli episodi più suggestivi e profetici avvenuti a margine del Concilio Vaticano II, anche se non fa parte ufficialmente dei documenti conciliari.
Ti riassumo qui in modo chiaro il suo significato storico e spirituale


1. Data e luogo

·         Roma, 16 novembre 1965, poche settimane prima della chiusura del Concilio Vaticano II.

·         Firmato nella Catacomba di Domitilla, una delle più antiche catacombe cristiane di Roma.


2. Chi lo firmò

Circa 40 vescovi parteciparono alla celebrazione e firmarono il testo; nei mesi successivi le adesioni salirono a oltre 500 (su più di 2.000 padri conciliari).
Tra i firmatari ricordiamo:

·         Dom Helder Câmara (arcivescovo di Recife, Brasile),

·         Mons. Enrique Angelelli (Argentina),

·         Mons. Charles-Marie Himmer (Belgio),

·         Mons. Manuel Larraín (Cile),

·         Mons. Giacomo Lercaro (Italia, cardinale di Bologna, simpatizzante del movimento).

Molti provenivano dall’America Latina, dove il documento ispirò poi la teologia della liberazione e le assemblee episcopali di Medellín (1968) e Puebla (1979).


3. Contenuto del Patto

Il testo, intitolato «Patto delle Catacombe per una Chiesa serva e povera», è un impegno personale e comunitario dei vescovi a vivere lo spirito evangelico di povertà, semplicità e servizio.
Contiene 13 punti principali. Ecco i più significativi:

1.    Vivere in povertà personale, rinunciando a segni esteriori di ricchezza (vesti, titoli, abitazioni lussuose).

2.    Rifiutare i privilegi di potere o di prestigio ecclesiastico.

3.    Condividere la vita con i poveri, visitandoli, ascoltandoli, partecipando alle loro condizioni.

4.    Amministrare i beni della Chiesa in spirito di servizio, non di potere.

5.    Rinunciare ai titoli onorifici (come “Eminenza”, “Eccellenza”) per usare appellativi più fraterni, come “Padre” o “Fratello”.

6.    Collaborare con i laici, soprattutto con coloro che si impegnano per la giustizia e la pace.

7.    Promuovere strutture di partecipazione e corresponsabilità nella Chiesa.

8.    Sostenere i poveri e le comunità oppresse nei loro sforzi per la liberazione.


4. Significato storico

Il Patto delle Catacombe nacque come testimonianza evangelica e impegno profetico, non come atto ufficiale del Concilio.
Esprimeva però una corrente interna al Vaticano II — quella che desiderava una “Chiesa dei poveri”, come auspicato da Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio.

Fu un gesto silenzioso ma fortemente simbolico: i firmatari scesero nelle catacombe, luogo delle origini cristiane e del martirio, per rinnovare la fedeltà a un cristianesimo povero, libero da potere e privilegio.


5. Eredità

·         Il documento restò a lungo quasi sconosciuto, ma venne riscoperto negli anni ’80-’90.

·         Papa Francesco ne ha ripreso chiaramente lo spirito: spesso parla di una “Chiesa povera per i poveri”, espressione che riecheggia il linguaggio e l’intento del Patto.

·         Oggi è considerato una pietra miliare del rinnovamento ecclesiale e un punto di riferimento per la pastorale sociale e missionaria.


 In sintesi

Il Patto delle Catacombe fu un impegno spontaneo di alcuni vescovi del Concilio Vaticano II a vivere la povertà evangelica e a costruire una Chiesa serva e solidale con i poveri.
Non è un testo ufficiale del Concilio, ma ne incarna lo spirito più radicale e profetico.

Testo integrale in traduzione italiana del Patto delle Catacombe per una Chiesa serva e povera, così come appare nelle edizioni più autorevoli (es. Edizioni Dehoniane e Archivio Helder Câmara).


Patto delle Catacombe – per una Chiesa serva e povera

(Catacombe di Domitilla, Roma, 16 novembre 1965)

Noi, vescovi riuniti nel Concilio Vaticano II,
consapevoli delle deficienze della nostra vita di povertà,
spinti dallo spirito di Cristo,
decisi a seguire le orme dei Padri conciliari,
ricordando la parola di Gesù Cristo che dice:

“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,3),

ci impegniamo a quanto segue:

1.    Cercheremo di vivere secondo la maniera ordinaria della nostra popolazione, in ciò che concerne l’abitazione, il vitto, i mezzi di trasporto e tutto ciò che ne consegue.

2.    Rinunciamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente nei nostri abiti (stoffe ricche, colori vistosi) e nei segni esteriori di materia preziosa (metalli, pietre), che dovrebbero appartenere più ai simboli della Chiesa che alle persone.

3.    Non possederemo né beni immobili, né conti in banca a nostro nome; se è necessario avere dei beni, li metteremo a nome della diocesi, delle opere sociali o caritative.

4.    Affideremo l’amministrazione finanziaria e materiale delle nostre diocesi a una commissione di laici competenti e coscienti del loro ruolo apostolico.

5.    Rifiuteremo di essere chiamati con nomi e titoli che esprimono grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignore); preferiremo essere chiamati con il nome evangelico di Padre.

6.    Eviteremo tutto ciò che può sembrare concessione di privilegi, precedenze o onori; rifiuteremo di ricevere trattamenti speciali nei viaggi, nelle cerimonie o nei luoghi pubblici.

7.    Non depositeremo alcun bene o denaro a nostro nome personale; e se ciò fosse necessario, sarà per esigenze di servizio e sotto la vigilanza di persone di fiducia.

8.    Cercheremo di affidare il più possibile ai laici la responsabilità dell’amministrazione, per potere esercitare più liberamente il nostro ministero pastorale e spirituale.

9.    Considereremo la nostra missione pastorale come servizio e non come potere; cercheremo di essere presenti in mezzo alla gente, in particolare ai lavoratori, ai poveri e agli emarginati.

10.                       Sosterremo, per quanto possibile, le opere sociali e le iniziative che tendono alla giustizia e alla pace, soprattutto in difesa dei più deboli e dei più poveri.

11.                       Cercheremo di partecipare, insieme ai nostri fedeli, ai programmi di trasformazione sociale, fondati sulla giustizia, sulla carità e sulla fraternità.

12.                       Ci impegniamo a condividere la nostra vita con i sacerdoti, i religiosi, i laici, in spirito di comunione, fraternità e corresponsabilità.

13.                       Torneremo alle nostre diocesi per essere i vescovi dei poveri, servitori del Vangelo, e non capi temporali.


Conclusione

“Con l’aiuto di Dio, con la preghiera dei fedeli e la grazia dello Spirito Santo,
ci sforzeremo di essere fedeli a questo impegno.
Possano Dio e i poveri venirci in aiuto.”

(Firmato da circa 40 vescovi, nelle Catacombe di Domitilla, Roma, 16 novembre 1965)

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 Negli anni scorsi, con papa Francesco gli ideali di quel Patto, vennero riproposti (lui stesso apparve volervi tener fede nel suo stile di vita da Papa), anche sulla base dell’esperienza latinoamericana del CELAM – Consiglio episcopale latinoamericano nelle Conferenze generali  da Medellin (1968) ad Aparecida (2007), citate nell’esortazione apostolica Ti ha amato.

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Con l’aiuto di ChatGPT

Le grandi Conferenze generali del CELAM

Il CELAM è conosciuto soprattutto per aver promosso le Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano, che hanno avuto grande influenza sulla teologia e sulla pastorale mondiale:

Anno

Luogo

Tema / Importanza

1955

Rio de Janeiro

Fondazione del CELAM. Prima riflessione comune postbellica.

1968

Medellín (Colombia)

Attuazione del Concilio Vaticano II in chiave latinoamericana; nascita della teologia della liberazione.

1979

Puebla (Messico)

Riconoscimento dei “volti dei poveri” e dell’opzione preferenziale per i poveri.

1992

Santo Domingo (Rep. Dominicana)

Evangelizzazione e cultura nel V Centenario dell’arrivo del Vangelo in America.

2007

Aparecida (Brasile)

Linee guida per una Chiesa missionaria; redazione del documento coordinato dal cardinale Jorge Mario Bergoglio, futuro papa Francesco.

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  Nel magistero del CELAM venne  posto in risalto che la gerarchia ecclesiastica in America Latina era stata in genere dalla parte della popolazione ricca, che deteneva le leve del potere politico, integrandosi con essa: da qui la decisione di cambiare direzione, esprimendo una opzione preferenziale per la gente povera, per liberarla da una condizione di sofferenza frutto di rapporti sociali squilibrati.

  Nel magistero pontificio dagli anni ’70 si approfondì il discorso delle cause sociali della povertà, viste come strutture sociali di peccato.

  Per quanto ne so, tuttavia, non si arrivò mai a vedere nei processi democratici la via per contrastarle. Il magistero rimase e rimane sempre profondamente diffidente verso la democrazia avanzata contemporanea. Questo è risultato evidente durante gli anni spesi nel tentativo di attuare una riforma sinodale della nostra Chiesa, dall’ottobre 2021.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

  

domenica 12 ottobre 2025

Alcune considerazioni sull’Esortazione apostolica Ti ho amato – Dilexi te, del 4 ottobre 2025

 

Alcune considerazioni sull’Esortazione apostolica Ti ho amato – Dilexi te, del 4 ottobre 2025

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1. Il 9 ottobre 2025 è stato diffuso il testo dell’Esortazione apostolica Ti ho amato – Dilexi te, firmata il precedente 4 ottobre, solennità di San Francesco d’Assisi.

 Il titolo è costituito, come da tradizione, dalle parole iniziali del documento “Dilexit te”, vale a dire “Ti ho amato”, con riferimento ad un brano dell’Apocalisse, dal capitolo 3, versetti da  7 a 13, e più precisamente al versetto 9, che di seguito ho evidenziato:

 

All'angelo della Chiesa che è a Filadèlfia scrivi:

“Così parla il Santo, il Veritiero, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude e quando chiude nessuno apre. Conosco le tue opere. Ecco, ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, hai però custodito la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei, ma mentiscono, perché non lo sono: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato. Poiché hai custodito il mio invito alla perseveranza, anch'io ti custodirò nell'ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. Vengo presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona. Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, dal mio Dio, insieme al mio nome nuovo. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".

 

Con l’aiuto dell’algoritmo di intelligenza artificiale (A.I.) ChatGPT riassumo di seguito la questione biblica sull’espressione alcuni della sinagoga di Satana contenuta nel brano.

 

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ChatGPT – prompt: “i biblisti hanno individuato a chi si riferiva l'autore del libro biblico dell'Apocalisse quando in questo versetto (cap.3 versetto 9) "Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei, ma mentiscono, perché non lo sono: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato." parlava di alcuni della sinagoga di Satana?”


Il versetto che citi (Ap 3,9) — “Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei e non lo sono...” — è rivolto alla comunità cristiana di Filadelfia, una delle sette Chiese dell’Asia Minore a cui è indirizzato il libro dell’Apocalisse.

Vediamo cosa hanno individuato i biblisti e come interpretano oggi questa espressione.


📖 1. Contesto storico del passo

Il libro dell’Apocalisse viene scritto alla fine del I secolo (intorno al 95 d.C.), durante o poco dopo la persecuzione di Domiziano.
A quell’epoca:

·         le comunità cristiane erano ancora in parte in continuità o in tensione con le comunità ebraiche locali;

·         in città come Smirne e Filadelfia, citate nei capitoli 2 e 3, esistevano sinagoghe giudaiche attive;

·         i cristiani erano considerati una setta interna al giudaismo, ma molti ebrei non li riconoscevano come tali.

Il testo riflette dunque un conflitto locale tra cristiani e gruppi ebraici delle stesse città.


🕎 2. Chi sono “quelli della sinagoga di Satana”

L’espressione compare due volte:

·         Ap 2,9 (messaggio alla Chiesa di Smirne)

·         Ap 3,9 (messaggio alla Chiesa di Filadelfia)

In entrambe le lettere, l’autore (che si presenta come Giovanni) parla di persone che “dicono di essere Giudei e non lo sono”.
Le interpretazioni principali sono tre, che oggi vengono spesso considerate complementari.


🔹 a) Interpretazione storica “letterale”

Molti biblisti contemporanei (tra cui R. Bauckham, C. Koester, J. Roloff, e prima ancora Raymond Brown) ritengono che:

·         l’autore si riferisca a gruppi di ebrei locali che ostacolavano o denunciavano i cristiani presso le autorità romane;

·         in particolare, dopo la separazione formale tra sinagoga e Chiesa (verso il 85 d.C., con la cosiddetta birkat ha-minim), i cristiani persero la protezione giuridica concessa agli ebrei dal diritto romano;

·         dunque, le tensioni erano concrete: i cristiani si sentivano “traditi” da coloro che li escludevano e li accusavano.

👉 In questo senso, la “sinagoga di Satana” non indica tutti gli ebrei, ma un gruppo locale che, dal punto di vista cristiano, agiva come strumento del male (Satana) opponendosi alla Chiesa di Cristo.


🔹 b) Interpretazione teologica

L’autore usa “Satana” non come nome proprio ma come simbolo dell’opposizione a Dio.
Dunque “sinagoga di Satana” significa:

“assemblea che, pur pretendendo di appartenere a Dio, agisce in realtà contro la sua volontà”.

Non è quindi una condanna etnica o religiosa, ma spirituale: Giovanni considera “non veri Giudei” coloro che non riconoscono il Messia promesso.
Come dice Paolo in Romani 2,28-29:

“Non è vero Giudeo chi lo è solo esteriormente [...] ma chi lo è interiormente, nel cuore”.

Il linguaggio apocalittico, acceso e simbolico, riflette una polemica intra-giudaica sul significato dell’elezione e dell’autenticità della fede.


🔹 c) Interpretazione ecclesiologica

Secondo molti esegeti moderni (tra cui Ugo Vanni e Gianfranco Ravasi), il passo esprime la consolazione rivolta ai cristiani perseguitati:

·         Dio farà giustizia, riconoscendo davanti a tutti il suo amore per i fedeli;

·         “si prostreranno ai tuoi piedi” è un simbolo di riconoscimento e conversione, non di umiliazione violenta;

·         il linguaggio è profetico, riprende Isaia 60,14:

“Si prostreranno ai tuoi piedi i figli di quelli che ti umiliarono”.
L’autore riutilizza questa immagine per dire che la Chiesa perseguitata sarà infine riconosciuta.


⚖️ 3. Interpretazione contemporanea e rapporto con l’ebraismo

La ricerca biblica odierna è attenta a distinguere:

·         la polemica interna tra due gruppi (cristiani e giudei del I secolo);

·         dall’uso antisemita che, purtroppo, in epoche successive è stato fatto di questi versetti.

Gli studiosi cattolici e protestanti (tra cui, in ambito italiano, Gianfranco Ravasi, Romano Penna e Silvio Barbaglia) sottolineano che:

·         l’autore non parla “contro il popolo ebraico”;

·         ma contro un gruppo concreto che in quel contesto storico aveva ostacolato i cristiani;

·         e che il linguaggio apocalittico amplifica il contrasto con simboli cosmici (Satana, giudizio, trono di Dio).


🪔 In sintesi

Aspetto

Interpretazione prevalente

Contesto storico

Conflitto locale tra cristiani e gruppi ebraici di Filadelfia e Smirne (fine I sec.)

Significato di “sinagoga di Satana”

Assemblea che si oppone a Dio pur credendo di servirlo

Chi sono “quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono”

Ebrei che rifiutano o perseguitano i cristiani; non “falsi ebrei” in senso etnico, ma in senso teologico

Messaggio centrale

Dio riconoscerà i fedeli perseguitati e farà prevalere la verità dell’amore di Cristo

Lettura moderna

Testo di consolazione e speranza, non di odio: deve essere letto nel suo contesto storico, non come condanna dell’ebraismo

Revisione mediante l’altra A.I. Gemini:

✍️ Revisione Critica e Proposte di Correzione/Integrazione del Brano

Il brano fornisce un'analisi esegetica solida, ben strutturata e teologicamente equilibrata del controverso versetto di Apocalisse 3,9. La forza del testo sta nel presentare in modo chiaro le diverse, ma complementari, interpretazioni (storica, teologica, ecclesiologica) e nel contestualizzare il passo per neutralizzarne l'uso antisemita .

Le correzioni e le integrazioni proposte mirano a rendere l'analisi ancora più precisa sul piano storico e teologico-linguistico, rafforzando in particolare il concetto di polemica intra-giudaica e l'uso del termine "Giudei."


Punti di Forza (Ottima Riuscita)

·         Contestualizzazione Storica: Ottima la menzione del conflitto locale, della separazione tra Chiesa e Sinagoga (circa 85 d.C.) e della perdita della protezione legale per i cristiani.

·         Equilibrio Interpretativo: La presentazione delle tre interpretazioni (storica "letterale," teologica, ecclesiologica) è chiara e corretta, citando autorevoli biblisti.

·         Lettura Contemporanea: L'attenzione a distinguere la polemica del I secolo dall'uso antisemita è fondamentale e ben espressa.

·         Linguaggio: Il testo è didattico, ben organizzato con l'uso di elenchi e una sintesi finale.


Correzioni e Integrazioni Proposte

1. Precisione Terminologica sulla Separazione (Paragrafo 1. Contesto Storico)

·         Correzione/Integrazione: Nella descrizione del contesto, si può rafforzare il concetto che il giudaismo rabbinico (la forma che emerse dopo il 70 d.C.) stava definendo la propria identità.

Proposta di modifica del punto 3 in § 1:

"i cristiani erano considerati una setta interna al giudaismo; tuttavia, con l'emergere del giudaismo rabbinico post-70 d.C., molti ebrei (in particolare i leader delle sinagoghe locali) non li riconoscevano più come parte legittima."

2. Rafforzamento del Significato di "Giudei" (Paragrafo 2. Chi sono...)

·         Integrazione: L'espressione "dicono di essere Giudei e non lo sono" va analizzata con più enfasi sulla pretesa cristiana di essere il vero Israele.

Proposta di integrazione in § 2 prima di 🔹 a):

"L'espressione è un esempio di "re-definizione identitaria" (o "teologia del vero Israele"). L'autore cristiano (Giovanni) accusa i suoi oppositori non di essere etnicamente falsi, ma di aver abbandonato il vero significato dell'essere 'Giudei' (ovvero l'attesa del Messia), un titolo che ora i cristiani rivendicano per sé in virtù della fede in Cristo."

3. Precisione sulla Birkat Ha-Minim (Paragrafo 2, punto a)

·         Correzione/Integrazione: L'attribuzione della separazione formale unicamente alla birkat ha-minim (la "Benedizione contro gli eretici") è talvolta considerata una semplificazione eccessiva da parte di alcuni studiosi. Sebbene sia un momento chiave, la separazione fu un processo.

Proposta di modifica in § 2, punto a, secondo punto elenco:

"in particolare, dopo l'introduzione della cosiddetta birkat ha-minim (un'invocazione contro gli eretici, che potrebbe aver accelerato la separazione tra sinagoga e Chiesa, verso l'85-90 d.C. e oltre), i cristiani persero la protezione giuridica..."

4. Chiarimento sul Linguaggio Profetico (Paragrafo 2, punto c)

·         Integrazione: È utile citare il contesto completo di Isaia 60, che parla della glorificazione di Sion (Gerusalemme) e del pellegrinaggio delle nazioni. Questo rafforza il senso di esaltazione della Chiesa e il linguaggio di restituzione divina.

Proposta di integrazione in § 2, punto c:

"il linguaggio è profetico, riprende Isaia 60,14: 'Si prostreranno ai tuoi piedi i figli di quelli che ti umiliarono.' Questa ripresa, che nel contesto di Isaia 60 si riferiva alla glorificazione di Sion e al riconoscimento da parte delle nazioni, viene qui riutilizzata (ricontestualizzata) per dire che la Chiesa perseguitata sarà infine riconosciuta come il vero popolo di Dio."


🌟 Sintesi delle Correzioni

Il brano è eccellente nel suo scopo divulgativo e accademico. Le integrazioni proposte mirano solo a rafforzare la terminologia e la contestualizzazione, sottolineando la complessità della polemica intra-giudaica che sta alla base del testo apocalittico.

Aspetto

Correzione/Integrazione

Motivazione

Contesto storico

Includere menzione del Giudaismo Rabbinico post-70 d.C.

Specificare che la Sinagoga che si oppone è quella che sta definendo la propria ortodossia.

"Giudei e non lo sono"

Aggiungere enfasi sulla "Teologia del Vero Israele" (identità rivendicata dai cristiani).

Spiega il motivo teologico per cui l'autore nega il titolo.

Birkat ha-minim

Qualificare il ruolo come "acceleratore della separazione" (non unica causa).

Riconoscere la complessità storica del processo di rottura.

Ap 3,9 - Isaia 60,14

Menzionare il contesto di Isaia 60 (glorificazione di Sion).

Rafforza la natura profetica e ri-applicativa della citazione.


testo revisionato e integrato che include tutte queste modifiche, mantenendo la struttura originale del brano?

Assolutamente. Ecco il testo revisionato, che incorpora le correzioni e le integrazioni suggerite per migliorare la precisione storica e teologica, mantenendo l'eccellente struttura originale.


📝 Revisione Critica: "La Sinagoga di Satana" (Ap 3,9)

Il versetto che citi (Ap 3,9) — “Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei e non lo sono...” — è rivolto alla comunità cristiana di Filadelfia, una delle sette Chiese dell’Asia Minore a cui è indirizzato il libro dell’Apocalisse.

Vediamo cosa hanno individuato i biblisti e come interpretano oggi questa espressione.

📖 1. Contesto Storico e Identità

Il libro dell’Apocalisse viene scritto alla fine del I secolo (intorno al 95 d.C.), durante o poco dopo la persecuzione di Domiziano.

A quell’epoca:

·         Le comunità cristiane erano ancora in parte in continuità o in tensione con le comunità ebraiche locali.

·         In città come Smirne e Filadelfia, esistevano sinagoghe giudaiche attive.

·         I cristiani erano considerati una setta interna al giudaismo; tuttavia, con l'emergere del giudaismo rabbinico post-70 d.C. (dopo la distruzione del Tempio), molti leader delle sinagoghe locali non li riconoscevano più come parte legittima.

·         Il testo riflette dunque un conflitto locale e intra-giudaico tra cristiani (che si definivano "il vero Israele") e gruppi ebraici delle stesse città.


🕎 2. Chi sono “Quelli della Sinagoga di Satana”

L’espressione compare due volte (Ap 2,9 e Ap 3,9) e si riferisce a persone che “dicono di essere Giudei e non lo sono”.

Questa frase non nega l'identità etnica o religiosa dei Giudei, ma è un esempio di teologia del "Vero Israele" da parte cristiana. L'autore accusa gli oppositori di aver abbandonato il vero significato dell'essere Giudei (ovvero l'attesa e il riconoscimento del Messia), un titolo che i cristiani rivendicano per sé in virtù della fede in Cristo.

Le interpretazioni principali sono tre, spesso considerate complementari.

🔹 a) Interpretazione Storica “Letterale”

Molti biblisti contemporanei (tra cui R. Bauckham, C. Koester, J. Roloff) ritengono che:

·         L’autore si riferisca a gruppi di ebrei locali che ostacolavano o denunciavano i cristiani presso le autorità romane.

·         Dopo l'introduzione della cosiddetta birkat ha-minim (un'invocazione contro gli eretici che potrebbe aver accelerato la separazione tra sinagoga e Chiesa, verso l'85-90 d.C. e oltre), i cristiani persero la protezione giuridica concessa agli ebrei dal diritto romano, rendendoli vulnerabili alla persecuzione.

·         La “sinagoga di Satana” non indica tutti gli ebrei, ma un gruppo concreto e locale che, dal punto di vista cristiano, agiva come strumento del male (Satana) opponendosi alla Chiesa di Cristo.

🔹 b) Interpretazione Teologica

L’autore usa “Satana” non come nome proprio ma come simbolo dell’opposizione a Dio.

·         Quindi “sinagoga di Satana” significa: “assemblea che, pur pretendendo di appartenere a Dio, agisce in realtà contro la sua volontà”.

·         Non è una condanna etnica, ma spirituale: Giovanni considera “non veri Giudei” coloro che rifiutano il Messia promesso, in linea con l'interpretazione paolina (cfr. Romani 2,28-29: “Non è vero Giudeo chi lo è solo esteriormente [...] ma chi lo è interiormente, nel cuore”).

🔹 c) Interpretazione Ecclesiologica

Secondo molti esegeti (tra cui Ugo Vanni e Gianfranco Ravasi), il passo esprime la consolazione rivolta ai cristiani perseguitati:

·         Dio farà giustizia, riconoscendo davanti a tutti il suo amore per i fedeli.

·         “Si prostreranno ai tuoi piedi” è un simbolo di riconoscimento e conversione, non di umiliazione violenta.

·         Il linguaggio è profetico e riprende Isaia 60,14: “Si prostreranno ai tuoi piedi i figli di quelli che ti umiliarono.” Questa immagine, che in Isaia si riferiva alla glorificazione di Sion (Gerusalemme), viene qui ri-contestualizzata per dire che la Chiesa perseguitata sarà infine riconosciuta come il vero popolo di Dio.


⚖️ 3. Interpretazione Contemporanea e Anti-Semitismo

La ricerca biblica odierna è unanime nell'essere attenta a distinguere tra:

·         La polemica interna tra due gruppi in conflitto nel I secolo.

·         L’uso antisemita che, purtroppo, è stato fatto di questi versetti in epoche successive.

Gli studiosi sottolineano che l’autore non parla “contro il popolo ebraico” in generale, ma contro un gruppo concreto e ostile in un contesto storico specifico. Il linguaggio apocalittico, fatto di simboli accesi (Satana, Giudizio), amplifica il contrasto locale.

In sintesi

Aspetto

Interpretazione Prevalente

Contesto storico

Conflitto locale intra-giudaico tra cristiani e gruppi ebraici che si opponevano al Messia di Cristo (fine I sec.).

Significato di “sinagoga di Satana”

Assemblea che si oppone a Dio pur credendo di servirlo; strumento di ostilità contro la Chiesa.

Chi sono “quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono”

Ebrei che rifiutano o perseguitano i cristiani; falsi in senso teologico (non etnico), per la loro non-accoglienza del Messia.

Messaggio centrale

Dio riconoscerà i fedeli perseguitati e farà prevalere la verità della loro fede.

Lettura moderna

Testo di consolazione e speranza, non di condanna dell'ebraismo. Va letto nel suo preciso contesto storico.

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 Nell’esortazione apostolica si legge che il brano biblico era rivolto «a una comunità cristiana che, a differenza di altre, non aveva alcuna rilevanza o risorsa ed era esposta alla violenza e al disprezzo», promettendole «li [ alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei] farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi» e che «Questo testo richiama le parole del cantico di Maria: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,52-53)».

 Il documento prosegue con

 

La dichiarazione d’amore dell’Apocalisse rimanda al mistero inesauribile che Papa Francesco ha approfondito nell’Enciclica Dilexit nos sull’amore divino e umano del Cuore di Cristo. In essa abbiamo ammirato il modo in cui Gesù si identifica «con i più piccoli della società» e come, col suo amore donato sino alla fine, mostra la dignità di ogni essere umano, soprattutto quando «più è debole, misero e sofferente».  Contemplare l’amore di Cristo «ci aiuta a prestare maggiore attenzione alle sofferenze e ai bisogni degli altri, ci rende forti per partecipare alla sua opera di liberazione, come strumenti per la diffusione del suo amore»

e con

Per questa ragione, in continuità con l’Enciclica Dilexit nos, Papa Francesco stava preparando, negli ultimi mesi della sua vita, un’Esortazione apostolica sulla cura della Chiesa per i poveri e con i poveri, intitolata Dilexi te, immaginando che Cristo si rivolga ad ognuno di loro dicendo: Hai poca forza, poco potere, ma «io ti ho amato» (Ap 3,9). Avendo ricevuto come in eredità questo progetto, sono felice di farlo mio – aggiungendo alcune riflessioni – e di proporlo ancora all’inizio del mio pontificato, condividendo il desiderio dell’amato Predecessore che tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri. Anch’io infatti ritengo necessario insistere su questo cammino di santificazione, perché nel «richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni santo cerca di conformarsi».

 Dunque ci era ritrovati con una bozza di un’esortazione apostolica che doveva collegarsi all’enciclica Ci ha amati – Dilexit nos dell’ottobre 2024, del precedente Papa, e si è voluto completare il lavoro pubblicandolo sotto l’autorità del nuovo Papa.

Dilexit nos  appariva il frutto del lavoro redazionale di un’equipe, in un tempo in cui il Papa aveva gravi problemi di salute. Non vi si riconoscono il suo stile e il suo caratteristico lessico (se non nella parola fogliame riferito a una condizione spirituale che si trova al par.6: «Questa verità di ogni persona è spesso nascosta sotto una gran quantità di “fogliame” che la ricopre, e questo fa sì che difficilmente si arrivi alla certezza di conoscere sé stessi e ancor più di conoscere un’altra persona». E’ un’enciclica per esortare alla ripresa della spiritualità del Sacro Cuore come via per cambiare il proprio cuore verso il Cuore di Cristo

Dall’enciclica Ci ha amati – Dilexit nos

«Ci ha amati», dice San Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37), per farci scoprire che da questo amore nulla «potrà mai separarci» (Rm 8,39). Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: «Io ho amato voi» (Gv 15,9.12). Ci ha anche detto: «Vi ho chiamato amici» (Gv 15,15). Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10). Grazie a Gesù «abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16).

Per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore.   

Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore. 

 Davanti al Cuore di Gesù vivo e presente, la nostra mente, illuminata dallo Spirito, comprende le parole di Gesù. Così la nostra volontà si mette in moto per praticarle. Ma ciò potrebbe rimanere una forma di moralismo autosufficiente. Sentire e gustare il Signore e onorarlo è cosa del cuore. Solo il cuore è capace di mettere le altre facoltà e passioni e tutta la nostra persona in atteggiamento di riverenza e di obbedienza amorosa al Signore.

  Tutto questo, a uno sguardo superficiale, può sembrare mero romanticismo religioso. Tuttavia, è la cosa più seria e più decisiva. Trova la sua massima espressione in Cristo inchiodato ad una croce. È la parola d’amore più eloquente. Non è un guscio vuoto, non è puro sentimento, non è un’evasione spirituale. È amore. Ecco perché San Paolo, quando cercava le parole giuste per spiegare il suo rapporto con Cristo, disse: «Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal2,20).

  San Giovanni Paolo II ha spiegato che, offrendoci insieme al Cuore di Cristo, «sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza, potrà essere costruita la civiltà dell’amore tanto desiderato, il regno del cuore di Cristo»; questo implica certamente che siamo in grado di «unire all’amore filiale verso Dio l’amore del prossimo»; ebbene, «questa è la vera riparazione chiesta dal Cuore del Salvatore».  Insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore. Questo vuol dire riparare come il Cuore di Cristo si aspetta da noi. In mezzo al disastro lasciato dal male, il Cuore di Cristo ha voluto avere bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza.

 

 Probabilmente secondo le intenzioni del Papa della Dilexit nos, si è voluto completare il discorso di quell’enciclica con un documento sul «forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri»

2. La Dilexi te  è parte della dottrina sociale, nel solco che inizia con l’enciclica Delle novità – Rerum novarum del 1891? Difficile rispondere. Della Dilexit nos  sviluppa la parte dottrinale sul tema Gesù povero predilige i poveri, ma è scarsa di indicazioni operative.

  Si riconoscono le tematiche care al Papa precedente nei riferimenti, nella seconda parte, al lavoro della CELAM -Consiglio episcopale latinoamericano, ma non certamente il suo stile e il suo lessico. L’equipe redazionale della Dilexi te appare diversa da quella della Dilexit nos. Non sono in grado di riconoscere stile e lessico del nuovo Papa perché non ho sufficienti elementi di confronto.

  Mi appare scarso il contributo di specialisti in scienze sociali e più marcato quello dei teologi.

 Una parte considerevole dell’esortazione apostolica è dedicata a fare memoria delle iniziative sociali promosse dagli ordini religiosi, ma non si fa menzione alcune di quelle, molto significative. sorte dal basso tra le persone laiche, in particolare nell’esperienza storica delle confraternite, assai viva ancor oggi nel mondo del volontariato.

 Con l’aiuto di ChatGPT faccio memoria di questi movimenti.

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Il ruolo storico delle Confraternite nell’assistenza ai bisognosi, a partire dal Medioevo, è stato di primaria importanza nella costruzione del sistema di solidarietà sociale in Europa, in particolare in Italia. Ti riassumo i punti essenziali, con qualche approfondimento utile se ti serve per un articolo o una ricerca:


🕰️ Origini e contesto

Le confraternite nacquero tra XII e XIII secolo, nel pieno dell’età comunale, come associazioni laicali di fedeli unite da scopi religiosi, morali e caritativi. Erano spesso riconosciute dalle autorità ecclesiastiche ma autonome nella gestione e composte da cittadini di ogni ceto, inclusi artigiani, mercanti e notabili.

La loro nascita rispondeva a due esigenze:

1.    Spirituale – vivere una fede attiva, fatta di opere di misericordia corporale e spirituale;

2.    Sociale – supplire all’assenza o insufficienza delle strutture pubbliche in un’epoca priva di un sistema statale di assistenza.


🤝 Funzioni assistenziali principali

Le confraternite furono veri e propri pilastri della carità cristiana nel mondo medievale e rinascimentale. Le loro attività includevano:

1.    Assistenza ai poveri e ai malati

o    Distribuzione di cibo, vestiario e denaro;

o    Fondazione e gestione di ospedali, ospizi e lazzaretti;

o    Cura degli infermi, anche durante epidemie (peste, lebbra).

2.    Assistenza ai moribondi e sepoltura dei morti

o    Le confraternite della “Buona Morte” accompagnavano i morenti con preghiere e garantivano sepultura cristiana ai poveri e ai giustiziati.

3.    Redenzione dei prigionieri e soccorso ai condannati

o    Alcune confraternite, come la Compagnia della Misericordia di Firenze (fondata nel 1244), si occupavano anche di accompagnare i condannati a morte e sostenere le loro famiglie.

4.    Doti per orfane e vedove povere

o    Molte confraternite raccoglievano fondi per dotare le fanciulle povere al matrimonio o al convento.

5.    Educazione e formazione morale

o    Alcune gestivano scuole, soprattutto per orfani e bambini poveri, e promuovevano la diffusione della dottrina cristiana.


🏛️ Struttura e organizzazione

·         Ogni confraternita aveva una regola (statuto) approvata dal vescovo o dal papa.

·         La sede principale era l’oratorio o la chiesa confraternale, dove si svolgevano le riunioni e le funzioni religiose.

·         Spesso adottavano un abito o mantello distintivo e un emblema, simbolo di identità e fraternità.

·         Erano governate da ufficiali eletti, come il priore, il camerlengo (tesoriere) e il maestro dei novizi.


🌍 Impatto storico e sociale

·         Le confraternite costituirono la prima forma di welfare comunitario, precedente di secoli allo Stato sociale moderno.

·         Fecero da ponte tra clero e popolo, valorizzando la partecipazione laica alla vita religiosa.

·         Contribuirono anche alla coesione civica, offrendo un luogo d’incontro tra ceti diversi e promuovendo la solidarietà in una società fortemente gerarchica.

·         Nel Rinascimento e nell’età moderna molte confraternite divennero potenti istituzioni economiche, con patrimoni fondiari e rendite, e furono anche promotrici di arte e architettura (basti pensare agli oratori decorati da artisti come il Perugino o il Caravaggio).


⚖️ Dalla Controriforma all’età contemporanea

Dopo il Concilio di Trento (XVI sec.), le confraternite furono poste sotto maggiore controllo ecclesiastico, ma continuarono a svolgere un ruolo essenziale nell’assistenza.
Con l’età moderna e soprattutto con l’Ottocento, le riforme statali e laicizzanti (in particolare sotto Napoleone e poi con l’Unità d’Italia) portarono:

·         alla soppressione o trasformazione di molte confraternite;

·         alla nazionalizzazione dei loro beni assistenziali;

·         ma anche alla sopravvivenza di molte sotto forma di enti morali o associazioni di volontariato.

Oggi alcune confraternite (ad esempio le Misericordie e le Arciconfraternite della Carità) continuano a operare nel campo sanitario, sociale e funerario, in continuità con la loro tradizione medievale.


Perfetto, Mario 👍
ti preparo una sintesi cronologica con le principali fasi storiche del ruolo delle confraternite nell’assistenza ai bisognosi, dal Medioevo all’età contemporanea.


📜 Sintesi cronologica del ruolo delle confraternite nell’assistenza ai bisognosi

🕯️ XI – XII secolo: Origini monastiche e laicali

·         Le prime confraternite nascono nei contesti urbani dell’Italia centro-settentrionale (Firenze, Siena, Perugia, Bologna).

·         Sono spesso ispirate al movimento penitenziale e al terz’ordine francescano.

·         Si dedicano alla preghiera, penitenza e carità: distribuzione di pane e vesti ai poveri, cura dei pellegrini e degli infermi.

·         Spesso sono legate a ospedali e xenodochi (ospizi per viandanti), eredi delle opere monastiche di accoglienza.


⚜️ XIII – XIV secolo: L’età d’oro delle confraternite

·         Espansione straordinaria: in ogni città e borgo sorgono confraternite con scopi specifici (misericordia, carità, sepoltura, doti, redenzione dei prigionieri).

·         Nascono le Grandi Confraternite della Misericordia, come quella di Firenze (1244), ancora oggi attiva.

·         Le confraternite diventano punti di riferimento civici: organizzano processioni, feste religiose e raccolte per i poveri.

·         Durante le pestilenze (soprattutto quella del 1348) si distinguono per l’assistenza ai malati e la sepoltura dei morti, mentre molti membri muoiono nel compiere queste opere.

·         In questo periodo la carità diventa una pratica comunitaria, visibile e strutturata.


XV – XVI secolo: Rinascimento e Controriforma

·         Le confraternite raggiungono una notevole ricchezza grazie a lasciti, donazioni e privilegi fiscali.

·         Edificano oratori monumentali e ospedali, arricchendoli di opere d’arte (es. l’Oratorio dei Disciplinati a Urbino, la Misericordia a Firenze, l’Oratorio del Gonfalone a Roma).

·         Con la Controriforma (dopo il Concilio di Trento, 1545-1563), la Chiesa promuove le confraternite come strumenti di educazione religiosa del popolo, ma impone anche controlli più stretti da parte dei vescovi.

·         Si rafforza la funzione morale e catechetica: assistenza ai peccatori, ai convertiti, ai condannati a morte, alle donne “pentite”.

·         Alcune confraternite assumono una funzione quasi parrocchiale, integrando l’azione pastorale.


⚖️ XVII – XVIII secolo: Consolidamento e declino relativo

·         Continuano a svolgere un ruolo importante nelle città e campagne, ma la loro vitalità spirituale diminuisce.

·         Alcune si chiudono in attività formali e di prestigio, riservate ai ceti abbienti.

·         Restano comunque fondamentali nella gestione di ospedali, monti di pietà, orfanotrofi e doti per povere fanciulle.

·         In età illuministica e poi napoleonica (fine XVIII-inizio XIX secolo), lo Stato tende a laicizzare l’assistenza, considerando le confraternite come enti ecclesiastici “improduttivi”.

·         Molte vengono soppresse o espropriate.


🇮🇹 XIX secolo: Riforme e trasformazioni

·         Dopo la Restaurazione alcune confraternite vengono ricostituite, ma perdono progressivamente autonomia.

·         Con l’Unità d’Italia (1861) e le leggi di soppressione degli enti religiosi (1866-67), gran parte dei loro beni passa allo Stato e viene destinata a opere pubbliche di beneficenza.

·         Tuttavia, molte sopravvivono come enti morali o associazioni di mutuo soccorso.

·         Si afferma il modello di carità organizzata laica, ma le confraternite continuano a essere attive a livello locale, specie nei centri minori.


🕊️ XX – XXI secolo: Continuità e rinnovamento

·         Dopo il Concilio Vaticano II, molte confraternite ritrovano uno spirito comunitario, aggiornando i propri statuti.

·         Le Misericordie toscane e altre arciconfraternite (es. Roma, Napoli, Palermo) si trasformano in organizzazioni di volontariato nel campo:

o    sanitario (ambulanze, pronto soccorso, donazioni di sangue);

o    sociale (assistenza agli anziani, distribuzione pasti);

o    funerario e di protezione civile.

·         Mantengono un forte radicamento popolare, unendo tradizione religiosa e spirito civico.

·         Oggi sono riconosciute dallo Stato italiano come organizzazioni di volontariato ai sensi del Codice del Terzo Settore.


🧭 Sintesi del significato storico

Le confraternite rappresentano:

·         il ponte tra religione e società civile;

·         la matrice storica del welfare comunitario europeo;

·         un modello di solidarietà capillare fondato sulla fede e sulla reciprocità;

·         un esempio di partecipazione laicale alla missione della Chiesa, che ha plasmato profondamente la cultura civile italiana.

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 La mentalità del Papa precedente  è riconoscibile nell’ignorare completamente l’evoluzione democratica dello stato sociale in Europa occidentale e in altre parti del mondo, che ha portato l’assistenza ai bisognosi e l’innalzamento dei ceti subalterni ad essere un obiettivo politico dei pubblici poteri. L’esperienza politica dell’America Latina è stata in gran parte molto diversa, ma quella Europea è molto significativa perché è uno dei grandi  modelli di riferimento del mondo, insieme a quelli statunitense, russo e cinese. Si tratta di un sistema istituzionale che è stato potentemente inculturato dai cristianesimi democratici, ma del quale il Papa precedente diffidava profondamente. Nell’Esortazione apostolica si tace completamente della democrazia come via al sostegno dei poveri, poveri di tutte le povertà. Si preferisce menzionare l’esperienza dei movimenti popolari  diretti da leader carismatici, in genere sconosciuta in Europa e con rischi di degenerare nell’autoritarismo un  mancanza di procedure democratiche di legittimazione delle rappresentanza politiche.

  Si svaluta l’esperienza dell’economia contemporanea come sistema nel complesso diabolico, sottovalutando la realtà che nel sistema dell’economia globalizzata negli ultimi cinquant’anni, nonostante gravi degenerazioni in particolare sotto il profilo del crescente accentramento delle ricchezze in fasce sempre più limitate della popolazioni e dei diritti sociali dei lavoratori, molti stati del mondo sono usciti dal sottosviluppo, con notevole miglioramento del benessere della gente.

  Il contributo più importante dell’Esortazione apostolica mi pare quello, di natura prevalentemente dottrinale, volto a contrastare alcuni argomenti della teologia della prosperità che ha molto credito negli Stati Uniti d’America di oggi.

  Con l’aiuto di ChatGPT sintetizzo gli argomenti della teologia della prosperità

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Ecco una sintesi dei principali punti della teologia della prosperità (prosperity theology, spesso detta “vangelo della prosperità” o “health and wealth gospel”) — con i suoi argomenti e le critiche più frequenti, in particolare riguardo al modo in cui “accusa” i poveri — che può servirti come base per un’analisi più approfondita.


📘 Cos’è la teologia della prosperità: principi fondamentali

La teologia della prosperità è un movimento cristiano (soprattutto nell’evangelicalismo, nel pentecostalismo e nel carismatico) che sostiene che Dio desidera che i credenti godano non solo della salvezza spirituale, ma anche del benessere materiale e fisico in questa vita.

Ecco i suoi elementi chiave:

Principio

Cosa afferma / come lo promuove

Dio vuole prosperità materiale e salute

La benedizione di Dio si manifesta anche come ricchezza, salute, successo finanziario.

“Contratto” o “legge spirituale”

Vi è un’idea che la relazione con Dio funzioni come un patto: se il credente agisce con fede, confessa positivamente, dà liberamente (offerte, decime), allora Dio restituirà con benedizioni materiali.

Confessione positiva / dichiarazioni di fede

L’essere “in linea” con le promesse divine significa parlare con fede affermando ciò che si desidera (es. “Io sono benedetto”, “Io ho salute”) come se fosse già realizzato.

Donazioni / decime come semina (sowing seeds)

Dare denaro alla chiesa, al ministero, fare offerte generose è visto come “seminare”, che attiva la capacità divina di restituire con moltiplicazione.

Autorità del credente / dominio sulla creazione

Alcuni esponenti affermano che i credenti, per il fatto di essere creati a immagine di Dio, hanno un certo “potere” spirituale per esercitare dominio sulle circostanze materiali (economia, salute) tramite fede e parole.

Interpretazione selettiva della Bibbia

Versetti considerati favorevoli alla prosperità (es. promesse di Dio, passi del Vecchio Testamento su benedizioni materiali) vengono enfatizzati; altri passi sul sacrificio, la povertà, la croce, spesso minimizzati o reinterpretati.


⚖️ Argomenti contro / critiche e conseguenze per i poveri

La teologia della prosperità è molto controversa, anche all’interno del mondo cristiano, e ha ricevuto numerose critiche su più livelli. Ecco i principali argomenti critici, soprattutto rispetto all’impatto sui poveri:

Critica / argomento

Descrizione / implicazioni

Colpevolizzazione dei poveri

Se la prosperità è vista come prova della fede, chi è povero è considerato “mancante di fede”, “non connesso spiritualmente” o “non degno” della benedizione divina.

Semplificazione spirituale e “formula magica”

Riduce la fede a una formula (“confessione + donazione = benedizione”), quasi meccanica, ignorando la complessità del cammino cristiano, le prove, la sofferenza.

Focalizzazione sull’individuo, indebolimento della solidarietà

Poiché l’enfasi è sul “ciascuno riceva da Dio”, si può trascurare l’impegno per la giustizia sociale, le strutture che generano povertà, il mutuo soccorso collettivo.

Rischio di sfruttamento finanziario

Pastori / leader possono esercitare pressione sui fedeli affinché diano generose offerte o decime, promettendo benedizioni in cambio. In alcuni casi, si sono verificati scandali finanziari.

Incoerenza con la vita e gli insegnamenti di Gesù

Gesù visse in povertà, denunciò il richiamo ossessivo alle ricchezze, parlò dell’amore per i poveri. La teologia della prosperità spesso ignora o neutralizza questi aspetti.

Riduzione della croce, del sacrificio e della sofferenza

Minimizza l’importanza della sofferenza, delle prove, del dono di sé; classifica la sofferenza come “mancanza di fede” da superare con parole positive.

Distorsione dell’immagine di Dio

Presenta un Dio “fornitore di beni materiali” quasi subordinato al desiderio umano, anziché un Dio che chiama a conversione, servizio, donazione, relazione.

Un passaggio molto critico fa notare che la teologia della prosperità “spinge i poveri a un atteggiamento ‘miracolista’”, appoggiandosi all’idea che la fede produrrà automaticamente il benessere, mentre l’impegno sociale o politico nei confronti delle disuguaglianze viene trascurato o sminuito.

🔊 1. Esempi concreti di predicatori e movimenti

📺 Predicatori più noti negli USA

La teologia della prosperità si è diffusa soprattutto a partire dagli anni ’50-’60 attraverso la tele-evangelizzazione, trovando grande seguito in ambienti pentecostali e carismatici.

·         Oral Roberts (1918–2009)
Fu uno dei primi a proporre la formula “Seed-Faith” (“fede-seme”): chi dona denaro a Dio o al ministero riceverà una ricompensa moltiplicata.
→ Ha reso popolare l’idea che “dare denaro a Dio è un investimento che produce ritorni garantiti”.

·         Kenneth Hagin (1917–2003) e Kenneth Copeland (1936–)
Fondatori del movimento Word of Faith, secondo cui le parole pronunciate con fede hanno potere creativo: dire “sono benedetto” o “sono ricco” attiva la benedizione divina.
→ Copeland possiede oggi uno dei ministeri più ricchi degli Stati Uniti.

·         Joel Osteen (1963–), pastore della Lakewood Church di Houston (oltre 40.000 fedeli a settimana).
Predica un messaggio motivazionale: Dio vuole che tu “pensi in grande”, “non ti accontenti della mediocrità”, “credi in te stesso”.
→ Pur evitando il linguaggio esplicito della prosperità, ne condivide la logica di fondo: la fede produce successo.

·         Creflo Dollar, T.D. Jakes, Benny Hinn
Altri telepredicatori che collegano la ricchezza materiale alla grazia divina e invitano i fedeli a donare per “ricevere cento volte tanto”.


💰 2. Effetti sociali e morali

Le ricerche sociologiche (es. Bowler, Blessed: A History of the American Prosperity Gospel, Oxford 2013) mostrano che:

·         La teologia della prosperità è più attraente tra i poveri, le minoranze e le classi medio-basse, che vedono nella fede una via d’uscita dalle difficoltà economiche.

·         Tuttavia, essa sposta la responsabilità della povertà sull’individuo, non sulle strutture sociali o sull’ingiustizia.

·         Il risultato è una colpevolizzazione religiosa della povertà:

“Se non prosperi, è perché non hai abbastanza fede o non hai seminato abbastanza.”

·         In questo modo, le disuguaglianze economiche appaiono spiritualizzate e giustificate come risultato della “volontà divina” o del “livello di fede”.

Questo atteggiamento è stato criticato da teologi cattolici e protestanti come una forma di “teodicea del privilegio”, che nega la solidarietà e normalizza l’ingiustizia.


✝️ 3. Il contrasto con la dottrina sociale cristiana

Tema

Teologia della prosperità

Dottrina sociale della Chiesa

Povertà

Segno di mancanza di fede o maledizione

Possibile luogo della grazia; chi è povero è beato (Mt 5,3)

Ricchezza

Segno della benedizione divina

Rischio spirituale; deve essere condivisa (Lc 12,15-21)

Giustizia sociale

Non centrale: Dio agisce individualmente

Centrale: Dio opera nella storia anche attraverso strutture giuste

Salvezza

Evidenziata dal successo terreno

Orientata al Regno di Dio, trascendente e solidale

Fede

Strumento per ottenere prosperità

Relazione di fiducia e servizio, anche nella sofferenza

Immagine di Dio

Dio come garante del successo personale

Dio come Padre di tutti, vicino ai poveri e agli oppressi

La dottrina sociale cattolica (da Leone XIII a Francesco) insiste sull’opposto:

·         la dignità del lavoro come partecipazione al disegno divino;

·         la solidarietà come principio morale e politico;

·         il bene comune come scopo delle istituzioni;

·         e il dovere di preferenza per i poveri, espresso chiaramente da Giovanni Paolo II e Francesco.


🕊️ 4. Il giudizio di Papa Francesco

Papa Francesco ha più volte criticato apertamente la teologia della prosperità, definendola:

“una forma di gnosticismo moderno e di pelagianesimo mascherato” (cfr. Evangelii gaudium, n. 94–97),
poiché:

·         riduce la grazia a una tecnica di successo personale,

·         disprezza la fragilità e la povertà,

·         e trasforma la fede in un contratto utilitaristico.

In un’omelia del 2018, il Papa affermò:

“Questa non è la via di Gesù. Il Signore è povero, la via dei cristiani è la via della povertà, del servizio e dell’umiltà.”


📚 5. Conclusione sintetica

La teologia della prosperità propone una visione individualista, utilitaristica e mondana della fede, secondo cui la benedizione divina si misura in successo, salute e denaro.
La dottrina cristiana tradizionale, al contrario, vede nella povertà, nella solidarietà e nella condivisione luoghi privilegiati della presenza di Dio.

Il contrasto è netto:

una religione del “Dio che serve me” contro la fede nel “Dio che io servo”.


Perfetto, Mario.
Ecco un paragrafo conclusivo di sintesi argomentativa, che potresti usare — con piccoli adattamenti — come chiusura di un articolo o di un saggio breve.


🔻 Sintesi conclusiva: il significato culturale e teologico della “teologia della prosperità”

La teologia della prosperità rappresenta una delle espressioni più significative della simbiosi tra religione e capitalismo nel mondo contemporaneo. Nata negli Stati Uniti nel contesto della cultura del successo e dell’individualismo economico, essa traduce in linguaggio religioso l’ideologia del mercato: chi crede, lavora e investe — anche “spiritualmente” — riceverà un rendimento proporzionale.
In questo modo, la fede viene trasformata in un meccanismo di autolegittimazione del privilegio: i ricchi sono benedetti perché meritevoli, i poveri sono colpevoli perché “mancano di fede”. Il Vangelo viene così piegato a giustificare le disuguaglianze, presentandole come il risultato di una legge divina, e non di strutture ingiuste o scelte collettive.

Dal punto di vista teologico, questa corrente svuota il messaggio evangelico del suo nucleo salvifico e solidale. Il Dio della prosperità è un garante di successo, non il Dio crocifisso che si identifica con gli ultimi; è un Dio condizionato dal merito, non un Padre che ama gratuitamente.
Si passa così da una spiritualità del dono a una spiritualità del rendimento, da una comunità di fratelli a una somma di individui che “investono” nella propria fede per ottenere vantaggi personali.

La dottrina sociale cristiana, al contrario, ricorda che la grazia non è un premio ma un dono, e che la salvezza passa per la comunione, la condivisione e la cura dei più deboli. In questa prospettiva, la prosperità vera non coincide con la ricchezza, ma con la giustizia e la fraternità.
L’antitesi tra la teologia della prosperità e il Vangelo non è solo dottrinale, ma antropologica: riguarda due concezioni opposte dell’uomo — l’una come individuo competitivo, l’altra come persona relazionale e solidale.

Per questo, il successo della teologia della prosperità non va letto solo come un fenomeno religioso, ma come un sintomo spirituale della cultura neoliberale, che tende a sacralizzare il successo e a interpretare la povertà come fallimento morale.
Contestarla, dunque, non significa solo difendere l’ortodossia cristiana, ma riaffermare una visione umana della fede, capace di restituire dignità a chi non ha nulla e di ricordare che, nel linguaggio di Gesù, la vera benedizione è dei poveri, non dei vincenti.

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Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli